Aggressioni al personale sanitario: limiti della sola azione repressiva per un fenomeno complesso

L’intervento di Roberto Romano, consigliere Opi Firenze-Pistoia

Le aggressioni al personale sanitario sono un fenomeno in crescita che evidenzia la crisi di un sistema che arranca sempre di più nel fornire risposte alle esigenze dei pazienti e delle loro famiglie. L’approvazione del decreto 137/2024 che introduce l’arresto in flagranza differita per chi compie aggressioni al personale sanitario è un tentativo, certamente lodevole, di frenare un fenomeno sempre più preoccupante. Tuttavia, questa misura rischia di essere insufficiente se non accompagnata da una riforma strutturale della sanità. Per comprendere a pieno il problema, è necessario esaminare le cause profonde di queste aggressioni. Occorre analizzare i contesti in cui si verificano e proponendo, più che ricette spot, soluzioni concrete e sostenibili.

Lasciando da parte gli episodi ascrivibili ad atti di delinquenza comune, che difficilmente potranno essere arginati anche dal previsto inasprimento delle pene, non si può non notare come uno dei principali fattori che alimenta le aggressioni al personale sanitario sia l’esasperazione derivante da un sistema sanitario spesso inadeguato.

Negli ultimi anni, la sanità italiana ha subito un progressivo depauperamento, con riduzione dei fondi e delle risorse umane. Questo si riflette in servizi meno efficienti e in una carenza cronica di personale. I tempi di attesa nei pronto soccorso, ad esempio, sono diventati insostenibili, con pazienti costretti a rimanere anche per giorni su barelle poste nei corridoi, senza un’assistenza adeguata nonostante gli sforzi, a tratti eroici, degli operatori. Questo genera un senso di abbandono e frustrazione che può, purtroppo, facilmente sfociare in comportamenti aggressivi.

Carenza del personale e sovraccarico di lavoro

La carenza di personale, nello specifico, è uno dei problemi più evidenti. Infermieri e medici, unitamente al resto degli operatori, devono gestire un numero di pazienti superiore a quello che il sistema può sopportare. Di fronte a un sovraccarico di lavoro, i sanitari faticano a garantire cura ed assistenza adeguata e personalizzata. E questo può essere percepito, in qualche caso, come indifferenza o scarsa empatia. Le carenze strutturali, come la mancanza di letti o di attrezzature, aggravano ulteriormente la situazione, contribuendo a creare un ambiente caotico e stressante per tutti.

Nell’analisi non si può prescindere poi dal contesto psicosociale in cui avvengono le interazioni tra sanitari e pazienti. In molti casi, i pazienti o i loro familiari si trovano in uno stato di estrema vulnerabilità emotiva, dovuta alla malattia propria o alla paura per la salute dei propri cari.

Un aspetto fondamentale nel processo di cura e assistenza  è la comunicazione tra professionista e paziente. Quando un sanitario, pressato dal tempo e dal carico di lavoro, non riesce a spiegare adeguatamente la situazione o a fornire le rassicurazioni necessarie, perché lui stesso vittima di un sistema non più a misura delle necessità, il paziente può percepire un atteggiamento freddo e distaccato. In situazioni di emergenza, non è raro che notizie gravi vengano comunicate in modo rapido e superficiale, a volte in un corridoio affollato, senza il tempo di preparare emotivamente il paziente o i familiari. Questo tipo di interazione, evidentemente percepita come non empatica, può facilmente degenerare in tensione e rabbia. Quanto senso, in tutto questo, prende l’articolo del Codice di Deontologia infermieristica che recita “il tempo di relazione è tempo di cura”.

Spesso, le aggressioni al personale sanitario sono alimentate anche da aspettative irrealistiche riguardo al ruolo e alle capacità dei sanitari. La medicina moderna, con i suoi passi in avanti, ha creato l’idea che sia sempre possibile fornire una soluzione rapida ed efficace a ogni problema di salute. Quando questa aspettativa viene disattesa, specialmente in situazioni gravi o terminali, i pazienti e i loro familiari possono reagire con frustrazione e rabbia. La disinformazione, amplificata dai media e dai social network, contribuisce a creare false speranze e una percezione distorta del sistema sanitario e di ciò che da esso è lecito attendersi.

I professionisti, in questo contesto, sono spesso lasciati soli. Soli ad affrontare le situazioni contingenti e soli ad affrontarne le conseguenze successive. Poca, se non nulla, è l’assistenza psicologica dedicata ai sanitari vittime di violenze. Ancora meno, in molti contesti, l’assistenza legale fornita dalle aziende da cui i sanitari dipendono.

Aggressioni al personale sanitario, fenomeno multifattoriale

In molti casi gli aggressori non sono utenti, ma sono presenti nello stesso contesto lavorativo e portano anch’essi una divisa sanitaria. Troppo spesso queste situazioni non trovano neppure lo spazio per essere inserite nel capitolo “aggressioni a sanitario”. Questo perché, non si comprende su che base, venga deciso a priori che l’aggressione da sanitario verso sanitario sia ascrivibile a una diversa fattispecie. Più vicina a termini quali “dissapore”, “divergenza”, o altri termini simili, funzionali più ad una negazione dell’evento, e quindi del problema, che ad una sua risoluzione. Anche i percorsi intra aziendali di segnalazione degli eventi sono spesso deficitari se non, in molti casi, assenti.

Come si vede, anche senza approfondire eccessivamente, salta agli occhi come il problema delle aggressioni al personale sanitario sia un fenomeno multifattoriale. Un fenomeno per il quale la sola azione repressiva, seppure utile, non potrà mai essere sufficiente per la completa risoluzione. Il primo passo avanti sarebbe, senza dubbio, rendere dignità al sistema sanitario nazionale, e agli operatori che di esso sono la spina dorsale.

Roberto Romano, consigliere OPI Firenze – Pistoia

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