Porre attenzione sull’infermieristica nell’area della cronicità. Si è incentrato su questo tema l’evento formativo per gli infermieri e gli infermieri pediatrici organizzato dall’Ordine interprovinciale delle professioni infermieristiche di Firenze-Pistoia in occasione della Giornata internazionale dell’infermiere (12 maggio). L’evento, dal titolo “Gestione integrata delle persone con malattie croniche” si è tenuto venerdì 11 nella Sala Maggiore del Comune di Pistoia e ha visto numerosi esperti, moderati da Stefania Passini tesoriere OPI Interprovinciale Firenze Pistoia, confrontarsi sul tema dei percorsi assistenziali alla persona in stato di cronicità.
L’introduzione è stata affidata a David Nucci vicepresidente Opi interprovinciale Firenze Pistoia: «Il 12 maggio è un giorno importante perché ricorda la nascita di Florence Nightingale – ha detto – fulcro della nascita della nostra professione. Florence ha portato un messaggio innovativo che dovrebbe essere seguito ancora dagli infermieri. Oggi gli infermieri devono crescere, la loro figura è sempre più minata dalle decisioni della politica: dove si cerca di portare innovazione si incontrano resistenze. È necessario lottare per affermarsi e far sentire la nostra voce, acquisire competenze avanzate, offrire non più solo assistenza ospedaliera ma anche sul territorio. La crescita passa anche dall’incidenza sempre maggiore della libera professione che deve essere vista come un’opportunità. Sul territorio, le misure prese anche recentemente, mostrano che si andrà sempre più su un sistema misto pubblico-privato e questo aprirà nuove possibilità per gli infermieri. Sarebbe positivo avere, sul modello del Pronto Badante, un Pronto infermiere capace di dare risposte a necessità e bisogni. Bisogna crescere anche per quanto riguarda le competenze avanzate, questo ha un ritorno anche sulla persona assistita dal professionista. La professione sta crescendo piano piano e il professionista deve entrare in rete con tutti gli altri e vincere le resistenze».
«Nel futuro dell’infermieristica si prospettano grandi cambiamenti – ha detto nel suo saluto il sindaco di Pistoia Alessandro Tomasi -. La creazione delle grandi Asl ha aperto a diverse riflessioni: la prima è la necessità di dare risposte adeguate per l’efficientamento dei servizi, per cui stiamo lavorando e stiamo facendo grandi passi. A Pistoia purtroppo manca un’adeguata organizzazione sul territorio, la creazione dell’assistenza territoriale rappresenta una grande sfida. L’importante è non dimenticare mail ruolo della persona. Oggi negli ospedali possiamo avere macchinari all’avanguardia, processi avanzati ma il ruolo centrale è sempre giocato dai professionisti capaci di rispondere, anche umanamente, ai bisogni degli assistiti. Senza i professionisti si va poco avanti e su quelli è necessario investire. Possiamo pensare la migliore organizzazione possibile a livello di Asl ma senza la formazione del personale e un numero adeguato di professionisti non si fa nulla».
«La cronicità è una problematica importante legata all’invecchiamento della popolazione e alla parallela diminuzione nascite – ha detto Monica Marini responsabile U.O. assistenza infermieristica distrettuale ASL Centro Toscana durante il suo intervento dedicato a “Modelli Organizzativi per facilitare la gestione integrata nella cronicita`” -. Si stima che cronicità e disabilità saranno un problema rilevante nella società: si registra un aumento dei malati cronici (i poli-patologici sono il 21% della popolazione) e anche dal punto di vista della spesa sarà necessario incrementare le risorse in questo ambito. Le nuove misure di approccio alla cronicità prevedono che il cittadino sappia gestirla sempre più in autonomia ma questo prevede la capacità di sapersi interfacciare con l’assistito. È necessario un superamento dell’assistenza basata solo sull’erogazione prestazione: questo tipo di assistenza crea solo insoddisfazione nel cittadino perché non gli offre una figura di riferimento. E poi la presa in carico proattiva: intercettazione dei problemi prima ancora che la cronicità si presenti. Nell’organizzazione dei servizi è importante differenziare l’approccio: per la presa in carico della popolazione sana, degli utenti occasionali e di quelli cronici. Rispetto a questi i percorsi assistenziali devono essere differenziati secondo la piramide della cronicità. Cruciali, inoltre, la prevenzione e le diagnosi precoci e l’erogazione di interventi personalizzati. I modelli organizzativi si dividono in tre tipologie: quelli concettuali che usano case mix di strategie per indirizzare il continuum di assistenze; modelli orientati ai target specifici, legati al livello di rischio, che prevedono la messa in campo di un coordinamento organizzativo; modelli rappresentati da programmi in cui l’elemento di base è la modalità di finanziamento. È necessario mettere in campo azioni complesse ma andare nella direzione della semplificazione. Le persone sono caricate da troppe incombenze, e l’organizzazione non deve andare a discapito del cittadino».
«La partecipazione dei cittadini e il coinvolgimento della società sono fondamentali nella promozione della salute – ha spiegato Daniele Mannelli direttore della Società della Salute – zona distretto Pistoiese, affrontando il tema “La costruzione di reti inter-istituzionali e interprofessionali a livello di zona di Distretto” -. I programmi di promozione della salute hanno più successo se vedono la partecipazione dei cittadini e sono promossi da loro, e non dettati e imposti dall’alto. La promozione della salute non è una responsabilità esclusiva del settore sanitario ma deve prevedere il contributo di settori diversi da quello sanitario (trasporti, cultura, agricoltura, turismo). Per questa integrazione è necessario costruire delle reti, un insieme di nodi autonomi (persone, gruppi di persone, di professionisti, istituti) caratterizzati da interdipendenze: un modello in cui gli attori mantengono il proprio grado di autonomia ma cooperano “rinunciando all’opportunismo nelle loro relazioni” e trasformandolo in opportunità. La finalità delle reti è sostenere lo sviluppo di politiche e strategie per migliorare la salute. L’elemento partecipativo si ritrova anche nel programma operativo di attività della Usl Toscana centro. A livello pistoiese esiste il Piano integrato della Salute (2016-2020) che è stato fatto in termini partecipati con la consulta del Terzo Settore e del Comitato di Partecipazione della Società della Salute che rappresenta le associazioni di tutela e dei cittadini. In questo modo i cittadini, attraverso le loro associazioni, hanno avuto modo di dire cosa si aspettavano, di proporre quali fossero gli obbiettivi da conseguire. Sempre maggiore risulta quindi la necessità di coinvolgere la comunità per promuovere la salute collettiva e ridurre disuguaglianze. La co-progettazione con altri enti e associazioni e la creazione di reti sono presupposti fondamentali per raggiungere l’obbiettivo del benessere e della salute dei cittadini. In questo senso, le zone distretto e le Società della Salute, rappresentano il luogo per eccellenza dove rilevare bisogni e promuovere un’integrazione efficace».
«L’integrazione non si trova in natura, va perseguita. Il contesto in cui operiamo vede il cambiamento di dinamiche sociali e condizioni cliniche, la fragilità dei sistemi, servizi frammentati e quindi aumento del divario fra la crescita delle risorse disponibili e quanto cresce la necessità di queste risorse – ha detto Merj Cai direttore SOS Qualita` professionale Dipartimento Servizi Sociali ASL Centro Toscana parlerà di “Integrazione dei sistemi Socio Sanitari e Sanitari nell’area della cronicità” -. L’integrazione si ottiene se coincidono appropriatezza, coerenza fra i sistemi e stabilità delle azioni che vogliamo intraprendere: è garantita solo da rapporto paritario tra sfera sanitaria e sociale che non possono essere separate, perché i cittadini appartengono ad entrambi gli ambiti. I punti di contatto fra sanitario e sociale sono universalità, sussidiarietà, partecipazione, programmazione con finalità di puntare al benessere, non solo all’assenza di malattia, con percorsi d’accesso personalizzati basati anche su momenti prestazionali e valutativi. Le differenze si ritrovano nelle competenze legislative, nella titolarità del servizio delle funzioni e nei sistemi di finanziamento. Per un governo complessivo di salute e cittadini sono necessarie forme di integrazione forti, istituzionali e gestionali. Le Case della Salute, sono uno strumento di integrazione significativa dedicato alla cronicità che si fondano anche sulla prossimità, elemento che facilita l’integrazione sul caso. Qui gli operatori, insieme ai cittadini, possono organizzare una risposta alla conoscenza e alla cura. Un logo d’integrazione sanitaria consente la presa in carico dei bisogni dei cittadini a 360°: permette di passare da semplice erogazione dei servizi a una presa in carico effettiva dei bisogni socio sanitari; facilita l’accesso dei cittadini ai servizi territoriali riducendo gli accessi impropri al pronto soccorso; sviluppa una presa in carico pro attiva e veloce dei malati cronici, per rallentare l’evoluzione clinica. In generale, si realizza un valore aggiunto attraverso l’integrazione di responsabilità e risorse e l’interrelazione delle tre dimensioni dell’integrazione (istituzionale, gestionale e professionale). Un equilibrio che deve realizzarsi anche attraverso i contenuti: integrazione a largo spettro, sociosanitaria, socio-educativa, socio-culturale. Senza trascurare il ruolo del Terzo settore grande capace di offrire un grande contributo al sistema generale dei servizi».
“Le politiche ed i percorsi per innovare l’agire infermieristico” è stato invece il tema affrontato da Cinzia Beligni segretaria OPI Interprovinciale Firenze Pistoia. «Quello che fa la differenza – ha detto – è essere capaci di superare le difficoltà che quotidianamente ci si pongono. La nostra professione ha visto un’evoluzione molto veloce rispetto alle altre professioni. Gli infermieri sono professionisti della salute e dell’assistenza perché possiedono un corpus di conoscenze e abilità, ovvero di capacità di applicare le conoscenze, che portano a possedere delle competenze: saper, saper fare, saper essere. E il nostro passato ci permette di costruire un bagaglio in divenire. Ogni assistito può rivolgersi a noi e trovare risposte (per le esigenze della persona, della famiglia o della collettività) nel rispetto delle normative e della deontologia. La nostra è una professione operativa, pratica, dobbiamo poter agire a livello politico dove vengono prese le decisioni importanti per portare all’attenzione del governo i bisogni veri dei cittadini, perché siamo noi i più vicini al cittadino e possiamo quindi farci portavoce delle esigenze reali delle persone. Siamo il canale che può portare la politica a prendere decisioni che influiscano positivamente sulla qualità di vita del cittadino. Dobbiamo poter decidere del carico di lavoro e degli investimenti perché sappiamo cosa serve per rispondere ai bisogni di salute ma dobbiamo anche poter costruire una politica sul lavoro che ci avvicini e non allontani dal patrimonio culturale. E ancora creare percorsi di inserimento nel lavoro dei giovani e collaborare strategie per chi ha perso l’occupazione. Le prospettive future dell’infermieristica comprendono politica, professione, formazione. Un unico nucleo che deve lavorare su tante cose: certificazione delle competenze, revisione dei percorsi universitari, definizione di indicatori e di sistemi di verifica, azione sulle politiche del lavoro, creazione di nuove competenze. E agire sull’economia nazionale, perché gli infermieri sono un motore per l’economia, non una spesa. Per fare questo bisogna essere al tempo stesso persona e professionista: per cittadini, per le persone assistite e per noi stessi».
«Nel contesto della cronicità si pone il problema di motivare tutta una serie di attori necessari inclusa la famiglia e gli operatori – ha spiegato Daniela Gavazzi consigliera OPI Interprovinciale Firenze Pistoia nel suo intervento “Motivare e motivarsi nell’ambito della cronicita`” -. Siamo di fronte a un’epidemia della cronicità che impone una risposta sanitaria in rete. La cronicità, in questo senso, rappresenta anche un’opportunità, perché ci impone di cambiare il linguaggio: se ognuno di noi non fa un passo verso gli altri, non è possibile. Tutto questo ci impone di partecipare alla politica, entrare nel dialogo di programmazione e pianificazione. Come motivare paziente e famiglia è tema complesso. L’infermiere deve portare prima di tutto la propria deontologia, perché queste prestazioni rischiano di essere sottovalutate dal professionista, che deve progettare e pianificare di più. Non si può parlare di motivazione in astratto, questa deve rientrare in una lettura complessiva. Il progetto che vedo con piacere svilupparsi è quello dell’infermiere di comunità e di famiglia, perché non si può improvvisamente iniziare a motivare se non esiste un background. Le famiglie funzionali che si impegnano in questo progetto sosterranno la persona dal punto di vista della motivazione: la motivazione si sposa così con l’educazione terapeutica. La famiglia deve essere a conoscenza degli indicatori di peggioramento, è necessaria una suddivisione e riorganizzazione dei ruoli e la partecipazione al progetto: tutti questi fattori partecipano al mantenimento della qualità di vita. Nell’operatore, tra i fattori che facilitano il mantenimento della propria motivazione c’è la presenza di un sistema capace di rispondere ai bisogni dei pazienti. Tra gli altri fattori, la capacità di fare un ragionamento integrato e condiviso sul caso problematico in modo che, davanti a una difficoltà, si possa trovare risposta in un gruppo di riferimento. L’operatore non può solo occuparsi di processi ma vanno previsti degli spazi in cui gli operatori s’incontrano per parlare dei casi clinici. Inoltre l’operatore deve essere in contatto con tutte le reti che vanno a sostenere le famiglie. Il coinvolgimento insomma, va promosso a qualsiasi livello, perché l’infermiere più motivato è quello coinvolto fin dall’inizio e devono essere riconosciute le competenze, commisurate anche alla responsabilità».
In chiusura è intervenuta Anna Maria Ida Celesti vicesindaco di Pistoia: «Serve un percorso di integrazione fra professioni sanitarie – ha detto – . Nelle professioni sanitarie è fondamentale il gioco di squadra in cui ognuno fa ciò che gli compete. L’assenza di gioco di squadra va a discapito non solo del paziente ma anche del professionista. È necessario un confronto, anche aspro, tra medici e infermieri che faccia nascere quella sintonia che deve essere trovata. Probabilmente il rapporto è stato impostato senza un confronto di base e le istituzioni non hanno recepito le esigenze dei diversi attori in gioco. Gli ordini hanno il dovere di mettere tutti intorno a un tavolo, anche nel nostro territorio. L’importante è incontrarsi e trovare il modo di operare insieme. Per l’infermiere di famiglia, nel caso della Società della Salute pistoiese abbiamo individuato Montale e Agliana come le zone in cui meglio si poteva attuare il progetto. È qui che verrà iniziato il percorso insieme al medico di famiglia, in una zona strutturalmente più limitata dove ha l’opportunità di diventare un modello. Ma può essere anche un modo per far cambiare la mentalità della persona comune nei confronti dell’infermiere. Ha quindi una duplice azione: affermare la professione infermieristica nei confronti dei cittadini e creare un modello di collaborazione che deriva da condividere ruoli e funzioni. I percorsi socio assistenziali e socio sanitari sono fatti da mille aspetti in cui non c’è un confine legato a una laurea: c’è integrazione tra varie figure che lavorano. Parlare di team multidisciplinare significa questo: mettere insieme le proprie conoscenze, il proprio sapere e il proprio modo di porlo a condivisione delle varie figure. E la presa in carico dei pazienti non può prescindere da un approccio multidisciplinare».