Covid-19 e Unità di dialisi: «Attivare linee guida regionali». L’appello di Aned e Opi Firenze-Pistoia

Definire linee guida organiche per poter assistere in modo adeguato i pazienti in dialisi e limitare i rischi per infermieri e operatori sanitari che se ne prendono cura. È quanto chiedono alla Regione Toscana l’Aned regionale (Associazione Nazionale Emodializzati) e gli infermieri dell’Ordine delle Professioni infermieristiche interprovinciale Firenze Pistoia che lavorano nei centri di dialisi. L’obbiettivo è quello di fornire risposte certe sulle procedure che interessano i pazienti nefropatici, una delle categorie a maggior rischio. Ma anche tutelare coloro che si occupano di questi pazienti. Ovvero professionisti altamente specializzati, senza i quali si rischia che venga interrotta la continuità di un servizio salvavita.

OPI Fi-Pt: «manca una cabina di regia regionale sui pazienti emodializzati»

«Dalle testimonianze dei colleghi che lavorano nelle strutture di emodialisi emerge la mancanza di una cabina di regia regionale sui pazienti emodializzati – spiegano da Opi Firenze – Pistoia –. Non si è tratto insegnamento dall’esperienza della Lombardia che ha stabilito fin da subito precise direttive. In alcuni centri si effettua la corretta procedura; in altri casi la situazione è diversa. Questo perché non sono state definite le linee guida alle quali attenersi».

Il tema degli asintomatici in un settore in cui il contatto con i pazienti è molto ravvicinato

La questione degli asintomatici. «I colleghi sono molto preoccupati perché, considerata la forte presenza di asintomatici, non sanno con esattezza quali sono le condizioni di salute della persona che stanno trattando – proseguono da Opi -. Anche se sono definiti ambulatori, i centri di dialisi sono luoghi ad alta intensità di cure e il contatto con i pazienti è molto ravvicinato. Una situazione di pericolo sia per gli operatori che per i pazienti con cui questi vengono in contatto: si innesca una catena difficile da interrompere».

Perdere personale fra gli infermieri che si occupano di dialisi significa mettere a rischio un servizio salvavita

A rischio un servizio salvavita. «In caso di positività conclamata vengono prese le adeguate precauzioni, come il trattamento isolato – spiegano gli infermieri – ma nella quotidianità quali strumenti abbiamo per prevenire la contaminazione? Il personale delle dialisi era già sotto organico e con questa emergenza si trova in sofferenza. Se perdiamo personale fra gli infermieri che si occupano di dialisi, professionisti altamente specializzati e non sostituibili da infermieri di altre aree, rischiamo di non poter garantire un servizio salvavita».

Aned Toscana: «abbiamo accolto le domande d’aiuto da parte dei pazienti»

Alla voce degli infermieri si unisce quella di Aned Toscana che nei giorni scorsi ha scritto all’assessore Stefania Saccardi, a Mario Cecchi (coordinatore dell’Organismo toscano per il governo clinico) e a Carlo Rinaldo Tomassini (direzione dei Diritti di cittadinanza e coesione sociale). «Ci siamo rivolti alle istituzioni per sollecitare un piano d’emergenza – spiega Mauro Ringressi, segretario regionale Aned -. Il nostro obbiettivo è quello di accogliere le domande d’aiuto da parte dei pazienti e individuare le attuali criticità nell’ambito dei servizi di emodialisi». L’auspicio è che la Regione metta in campo un coordinamento delle unità operative di nefrologia e dialisi presenti sul territorio toscano.

Intensificare le iniziative per contenimento della diffusione del virus, a partire dall’utilizzo diffuso di mascherine

«I malati nefropatici sono tra quelli a maggior rischio. Per questo è fondamentale applicare tutte le misure di prevenzione. Sia per loro che per i professionisti sanitari, veri e propri soldati in trincea a cui va tutta la nostra gratitudine – aggiunge Ringressi -. È necessario intensificare le iniziative per contenimento della diffusione del virus, a partire dall’utilizzo diffuso di mascherine. Siamo consapevoli della carenza di questi dispositivi e dello sforzo che sta facendo la Regione in questo senso ma serve tutta l’attenzione possibile».

Per i pazienti in dialisi il distanziamento sociale come elemento protettivo non è applicabile. Fare più tamponi possibile

I pazienti in dialisi non possono stare in isolamento. «C’è da considerare che i pazienti dializzati non possono essere messi in isolamento domiciliare – prosegue Ringressi -. Tre volte a settimana devono essere al centro dialisi per la terapia. Per loro il distanziamento sociale come elemento protettivo non è applicabile». È stato quindi proposto di effettuare quanti più tamponi possibile. «Abbiamo richiesto che sia diffuso a tappeto il controllo per gli operatori sanitari e pazienti in dialisi. Questo perché a oggi l’intervento preventivo è essenziale. Il nefrologo curante deve poter valutare tutti i casi delle persone dializzate con sintomi di insufficienza respiratoria e stati febbrili. Ed essere autorizzato a disporre o richiedere il tampone».

Inoltre «deve essere predisposto un piano di emergenza regionale relativo al sostegno/supporto dei pazienti in dialisi positivi al tampone – conclude Ringressi -. Tenendo conto dei familiari, del problema dei trasporti. E quando necessario di strutture, spazi, locali, servizi e risorse umane dedicate per un periodo necessario di isolamento e di continuità del trattamento dialitico».

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