Elena Berti: «Il vaccino? Un modo per riprenderci la nostra vita»

L’intervista all’nfermiera di Pistoia che lavora nel reparto di terapia all’interno del Covid center dell’ospedale Careggi

È stata vaccinata il giorno in cui tutta Europa aveva deciso di dare avvio “simbolico” alla campagna anti Covid-19. Elena Berti, infermiera di Pistoia che lavora nel reparto di terapia all’interno del Covid center dell’ospedale Careggi è arrivata piena di entusiasmo al Vaccine Day dello scorso 27 dicembre.

«È stato uno dei giorni più significativi di quest’anno… è quasi un paradosso ma è così. È stato un momento davvero importante poter rappresentare tutti gli operatori che hanno dato tanto in questa situazione – spiega Berti -. Sono arrivata all’appuntamento molto emozionata, mentre ero in macchina per raggiungere l’ospedale ho ripensato a tutto quello che ho vissuto, che abbiamo vissuto, a partire dal marzo dello scorso anno. Ho rivisto come in un déjà vu tutte le difficoltà che abbiamo affrontato».

Che cosa rappresenta per lei il vaccino?

«Il vaccino per me, per noi, rappresenta un primo spiraglio di luce. È necessario quasi un mese dalla prima somministrazione per fare il richiamo e ottenere l’immunità e le difficoltà non sono finite ma questo ci dà un barlume di speranza per continuare a combattere. È quasi un miracolo: siamo passati da un virus sconosciuto, che non sapevamo come affrontare, per cui non c’erano terapie a disposizione… vivevamo tutti nell’incertezza e arrivare alla fine dell’anno con vaccino è stato un grande risultato».

Quali sono le cose che le sono rimaste più impresse dei mesi trascorsi?

«È tantissimo quello che è stato messo in campo. Dalle modifiche strutturali ai reparti alla differenziazione dei percorsi. Abbiamo lavorato per mettere a punto modelli organizzativi efficaci ed efficienti per affrontare una cosa totalmente nuova. In collaborazione con i medici e insieme ai coordinatori, che hanno fatto tantissimo e a volte sono stati messi in secondo piano, sono state create figure infermieristiche di riferimento per filtrare le attività da fare. Anche solo le ‘armature’ da indossare presupponevano la creazione di un modello organizzativo. Le certezze sono venute meno e noi ci siamo rimessi in gioco. Il sentimento che più è prevalso è stata la solitudine, nostra e dei nostri pazienti, eravamo il loro unico punto di riferimento e ci siamo sostituiti alle loro famiglie, agli affetti, nel tentativo di dare loro segnali di speranza e di coraggio».

Cosa vi portate di positivo in questa nuova fase avviata con la campagna vaccinale?

«Ci portiamo un’apertura mentale diversa. La pandemia ha portato nella sanità un cambiamento di visione. La collaborazione che ho visto tra le varie figure professionali in questo periodo, l’avere un obbiettivo comune e il dedicare del tempo a trovare soluzioni insieme. Le stesse procedure di vestizione e svestizione, erano momenti in cui eravamo lì a proteggerci l’un l’altro. Al di là dei suoi risvolti drammatici il Covid-19 ha rappresentato un momento d’interazione, collaborazione e vicinanza che spero rimanga. Nella criticità abbiamo creato una rete motivazionale e di responsabilità professionale e umana nei confronti di pazienti e lavoro».

Cosa spera per il prossimo futuro?

«Spero si investa in sanità, nelle persone che sono il fulcro dell’assistenza. L’infermieristica può dare tanto e l’ha dimostrato quest’anno. È necessario dare valore a una figura che può avere un ruolo cruciale per l’assistenza alle famiglie. Si può fare di più e fortificare la rete territoriale: se si riesce a creare reti sul territorio il paziente viene preso in carico a 360°. Questo significa non solo curare uno scompenso, ma prendersi carico del benessere della persona».

Abbiamo sentito tante persone dichiararsi contrarie al vaccino, lei cosa ne pensa?

«A noi operatori, a chi ha vissuto in quei corridoi dove si cercava di combattere il virus, il virus fa più paura. Il vaccino è la risposta della scienza e le nostre professioni si basano sulla scienza. Abbiamo letto gli studi, ci siamo documentati e abbiamo fiducia nella scienza e negli organi competenti. A chi è scettico darei le informazioni necessarie: le persone hanno bisogno di risposte. I dubbi sono frutto di non conoscenza. E cercherei di far capire loro che il vaccino rappresenta anche la rinascita della vita e dell’economia del nostro Paese. Spero davvero che molte persone si informino e si convincano».

Che risposta ha avuto dai suoi colleghi?

«La cosa bella che mi è successa è che tanti colleghi, medici, infermieri, oss che hanno visto la mia foto nel momento della vaccinazione mi hanno detto che quella immagine li aveva emozionati. Si erano immedesimati in quel momento di speranza per il futuro. C’è stata una buona adesione da parte del personale e questo è importante: noi siamo lo specchio dei nostri cittadini; vaccinarsi significa proteggere la comunità, dare l’esempio. Siamo stati privati delle cose fondamentali, prima di tutto dei nostri affetti. Con il vaccino possiamo aprire la strada per riprenderci la nostra vita».

 

 

 

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