«Nell’ ”essere infermiere” abita il “fare l’infermiere”»: la riflessione di Stefano Chivetti

Riceviamo e pubblichiamo il messaggio di Stefano Chivetti, presidente di Almarei, legato alla Giornata nazionale dei professionisti sanitari, sociosanitari, socioassistenziali e del volontariato.

 

Ieri (il 20 febbraio, ndr) in Italia si è “celebrata”, se così vogliamo dire, la giornata nazionale del personale sanitario e del volontariato.

Per ragioni familiari mi sono trovato a passare buona parte della giornata in una sala di attesa del pronto soccorso di un noto ospedale fiorentino.
Ho quindi avuto modo di osservare, ascoltare, riflettere.

Esercito la professione da 27 anni, in forma libera e autonoma, per scelta lucida e consapevole.

Con me ci sono decine e decine di colleghi che ogni giorno condividono questa esperienza di vita.

Ho investito tutto me stesso in questa professione che da anni sta cercando il riconoscimento sociale che merita, ma che spesso non ha.

L’attesa di ieri è stato un dono che mi ha permesso di riflettere a fondo: mi sono chiesto cosa vedano le persone in noi infermieri o meglio, cosa facciamo vedere di noi stessi; mi sono chiesto se davvero assolviamo a quel ruolo di tutela della persona, soprattutto quando si trova in condizioni di bisogno.

Ho osservato i volti delle persone che bramano risposte proprio da noi su ciò che sarà di loro e che sorridono, quando percepiscono la nostra sincera vicinanza, dicendo con gli occhi: “rimani qui”.

Spesso abbiamo poco tempo per dire che ci siamo, che siamo dalla loro parte, che le loro difficoltà le sentiamo nostre e che soffriamo e siamo felici con loro.

Quasi proviamo vergogna ad ammettere che siamo umani e non è possibile non farsi toccare dalle emozioni delle persone di cui ci prendiamo cura.

Ecco che allora capisci l’altro valore spesso dimenticato, che rappresenta la nostra stella polare: la consapevolezza dell’essere. Essere infermiere significa stare accanto a loro come persone vere, coerenti e sincere.

E, nell’ ”essere infermiere” abita il “fare l’infermiere”.

Questo è ciò che vorrei fosse insegnato nelle università: il valore dell’essere.
Solo allora, le relazioni con gli altri professionisti e con le persone, saranno efficaci, non viziate da ciò che gli altri si aspettano da noi e che non ci appartiene.

Quando studiavo per diventare infermiere, mi hanno insegnato a tenere una distanza “professionale” con la persona assistita.

Non ci sono mai riuscito.

Io, come infermiere e come essere umano, ho bisogno di sentirmi libero di gioire e soffrire con una persona, di commuovermi o piangere con lei e non di costruire muri in nome di una presunta “professionalità”.

Questa condizione non mi toglie visione e obiettività come molti pensano.
Questa dimensione totalizzante è la vera motivazione di un professionista che accoglie e cura, che soffre e spera, con la lucidità dell’essere infermiere.

In quella sala d’attesa mi sono chiesto se rifarei questo percorso di 27 anni, oppure no: mi sono venuti in mente tutti i grazie, gli abbracci, i sorrisi, i pianti delle persone che ho accompagnato e ho capito che ho fatto la scelta giusta.

Il mio essere abita ancora in questa professione, fra le persone.

Ed è la cosa più bella che potrei desiderare.

Stefano Chivetti

Presidente Almarei

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