Il punto di Roberto Romano, consigliere di Opi Firenze – Pistoia, sulla gestione sanitaria del 118 e sugli equipaggi avanzati con medici e infermieri
«La risposta sta nella rete». Secondo Roberto Romano, consigliere di Opi Firenze – Pistoia, è nella gestione oculata di mezzi e risorse la chiave di volta per l’organizzazione dell’assetto del 118, da tempo al centro di una diatriba tra medici e infermieri che operano nell’emergenza territoriale.
«La risposta è in una rete di mezzi con diversa capacità assistenziale – afferma Romano -. Una rete che comprenda mezzi con a bordo medico altamente specializzato e infermiere, da impiegare in situazioni ad alta complessità gestionale, che includa mezzi infermieristici capaci di erogare assistenza avanzata e che sia supportata da un numero ancora maggiore di mezzi con soccorritore. Una struttura, questa, capace di garantire in ogni situazione la corretta stabilizzazione del paziente e il corretto trasporto in ospedale, senza sprechi di risorse professionali. Inquadrare il mezzo infermieristico come “mezzo base”, è un enorme errore concettuale: bisogna dare una nuova definizione al mezzo che vede a bordo l’intera equipe».
Prosegue invece una guerra tra le parti che periodicamente torna alla ribalta
«Di recente nella zona dell’Altro Frignano, nel modenese, la riorganizzazione del servizio 118 senza presenza medica sulle ambulanze ha dato origine a un acceso scontro politico-sindacale ma sono da ricordare le procedure infermieristiche nel caso Pizza, di qualche anno fa, o il tema Piemonte, regione in cui si sta andando verso una maggiore autonomia per gli infermieri in ambito di emergenza territoriale. I toni sono quelli di una guerra: una guerra che nessun professionista sensato vorrebbe ma che alcuni vorrebbero far passare come un impegno a tutela della cittadinanza, e che in realtà è solo un contrasto fra corporazioni. Da un lato c’è una compagine infermieristica che spinge, comprensibilmente, per vedere riconosciute le proprie competenze. Dall’altro c’è il settore medico che resiste e reagisce, ma credo che in questo modo stia perdendo l’occasione di concentrarsi sulla propria necessaria evoluzione».
Secondo lei è possibile trovare un punto d’incontro? O ci sono degli ostacoli insuperabili?
«Definirei difficile, o addirittura impossibile da attuare, un sistema che veda lavorare fianco a fianco medici legati a modelli degli anni ’90 e infermieri 2.0, con competenze avanzate in linea con gli sviluppi del nuovo millennio. Se vogliamo evolvere dobbiamo farlo di pari passo. E il problema è tutto in questo ‘se’: accanto a chi si batte per un’evoluzione del sistema, c’è chi lo fa per mantenere uno status quo. Da entrambe le parti. Detto questo, per l’attuale quadro normativo, non è possibile prescindere dalla presenza del medico. E non sarebbe neppure sensato, visti i modelli cui le regioni più avanzate stanno tendendo.
Si può però, e si deve, discutere su quale tipo di medico serva, sulla sua formazione e i suoi compiti a livello operativo. Lo stesso vale per l’infermiere. È difficile sostenere che il sistema necessiti di medici con alta specializzazione senza affrontare il tema di quale debba essere il background accademico, formativo ed esperienziale degli infermieri impiegati in uno dei setting dove l’autonomia infermieristica è ai massimi livelli, come è necessario che sia».
Ha parlato di quadro normativo: cosa dice la legge in tema di emergenza territoriale?
«I sostenitori del “serve il medico ovunque”, si appellano al DM 70/2015 (decreto che definisce gli standard per l’assistenza ospedaliera e, in relazione al 118, stabilisce la presenza sui mezzi di personale medico e infermieristico, ndr). La stessa norma crea però un problema, quando stabilisce la necessità di un mezzo di soccorso avanzato ogni 60.000 abitanti, senza dare però chiara definizione né di cosa sia un mezzo avanzato né della rete di mezzi necessari e “complementari” ad esso.
Questo ha dato origine alla convinzione che il mezzo avanzato sia quello con medico e infermiere, priva di un significato logico e, soprattutto, operativo. Un mezzo avanzato, così come inteso dal decreto 70/2015, risulterebbe spesso inutile, quasi sempre male impegnato e male utilizzato se posto al di fuori di una rete composta da mezzi con capacità assistenziale graduata, pensata tenendo conto di orografia del territorio, distanza dagli ospedali e di tutta un’altra serie di variabili fondamentali».
Il decreto stabilisce un medico su ogni ambulanza: ma questo è possibile?
«No e il perché è presto spiegato: non abbiamo abbastanza medici. Almeno non medici disponibili e formati per questo setting, e i costi sarebbero proibitivi. Ma non è neppure necessario: secondo i dati Fiaso del 2019 solo una percentuale esigua di casi, tra il 4% e il 6%, richiede una gestione avanzata sul posto».
In che stato versa al momento l’emergenza territoriale e cosa si può fare?
«Oggi l’indicatore primario, e l’unico che abbiamo, per valutare la qualità di un sistema di emergenza urgenza territoriale è il tempo di allarme-target. Una variabile numerica di tipo temporale, che non dà spazio a valutazioni sulla qualità del servizio erogato. Bisogna ripartire da qui, ponendo basi solide per riformare il sistema di emergenza a cominciare dalla revisione degli indicatori di efficienza del sistema. Partendo dalla messa in rete dei dati grezzi di attività dei sistemi di emergenza, con particolare attenzione a quelli riguardanti le diverse tipologie di risposta assistenziale, senza i quali è impensabile costruire studi solidi, credibili, obbiettivi e affidabili. È necessario superare il DPR del Marzo 1992, ormai troppo datato e distante dalle attuali competenze professionali degli operatori per essere ancora documento fondante del nostro sistema di emergenza territoriale. Un sistema che tutti vogliamo capace di ottime prestazioni. Perché, non dimentichiamolo, ognuno di noi è un potenziale utente».
Quindi qual è la strada da battere per veder evolvere il modello dell’emergenza territoriale?
«Bisognerebbe ripartire lavorando sulla mission del sistema di emergenza territoriale, per riportarlo a essere uno degli attori nella risposta al bisogno della cittadinanza e non l’unico capace, insieme al pronto soccorso, di rispondere rapidamente e con competenza. Il primo nucleo di riflessione potrebbe scaturire cercando di comprendere i bisogni della cittadinanza, sempre più anziana, con un aumento esponenziale delle malattie croniche e con una sempre maggiore difficoltà di gestione di tale cronicità. La cronicità non è materia del sistema di emergenza territoriale? Vero, ma la cronicità non gestita sfocia molto spesso in situazioni di urgenza o di emergenza, che spaventano i pazienti e i relativi nuclei familiari e richiedono una risposta rapida.
Da questa evidenza alcuni evincono la tesi della necessità del medico su ogni ambulanza. Invece credo che la risposta stia in un sistema strutturato a livelli, dal base all’avanzato, con mezzi di varia tipologia e capacità assistenziale, perché è su vari livelli di complessità, e di relativa necessità di gestione, che si presenta la domanda da parte della popolazione. Senza assetti di questo tipo, sostituire un livello assistenziale con un altro può rivelarsi poco efficace e, in alcuni casi, rischioso».
I mezzi infermieristici possono essere una risposta e garantire un servizio avanzato?
«Considerate le procedure operative oggi utilizzate dagli equipaggi a leadership infermieristica, sostenere che il mezzo infermieristico non sia capace di assistenza avanzata è totalmente privo di fondamento scientifico. Chi lo afferma conferma indirettamente che questo antagonismo medici/infermieri è una lotta corporativa. Legittima a livello sindacale, a patto che non si forzi la mano sfruttando i comprensibili timori della cittadinanza e le paure elettorali della politica, percorrendo una strada diametralmente opposta a quella dell’evidenza scientifica: i Paesi che fondano il loro sistema assistenziale sul Paramedico non forniscono una risposta “avanzata”? Dove sono i dati di aumento della mortalità in quei sistemi? Altrettanto fuorviante però, è sostenere che l’assistenza medica sia equivalente a quella infermieristica. Un ragionamento simile potrebbe portare qualcuno ad affermare che un soccorritore capace di posizionare una via venosa e somministrare adrenalina potrebbe facilmente sostituire un infermiere».
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