Intervista alla professoressa Donatella Lippi, curatrice dello spettacolo “Reading Florence. Conversazione (in)credibile con Florence Nightingale”.
Lo spettacolo sarà messo in scena dalla Compagnia delle Seggiole in occasione dell’evento promosso da Opi Firenze Pistoia “Mindfulness e soft skills: l’infermiere verso nuove consapevolezze”
Torna a Firenze la rappresentazione scenica dedicata alla madre dell’infermieristica moderna. In occasione dell’evento promosso da Opi Firenze – Pistoia “Mindfulness e soft skills: l’infermiere verso nuove consapevolezze”, il prossimo 11 maggio la Sala Conferenze dell’Auditorium Cto (largo Piero Palagi,1 Firenze), ospiterà lo spettacolo “Reading Florence. Conversazione (in)credibile con Florence Nightingale“. Per l’occasione abbiamo rivolto alcune domande alla professoressa Donatella Lippi che ha curato lo spettacolo messo in scena dalla Compagnia delle Seggiole. Una rappresentazione che ha avuto un grande successo e che dalla sua prima ha registrato numerose repliche.
Com’è nata l’idea di questa conversazione “(in)credibile” con Florence Nightingale?
«Nel 2020 ricorreva il bicentenario della nascita di una donna che ha profondamente influenzato la storia dell’assistenza moderna: Florence Nightingale. Il suo operato, innovativo e straordinario per una donna di quell’epoca, ha determinato una svolta fondamentale nella storia della formazione infermieristica: tutto il mondo avrebbe voluto celebrare questo anniversario in maniera corale e questo testo avrebbe dovuto aprire il Congresso Nazionale della Federazione Nazionale degli Ordini Professionali degli Infermieri e delle Ostetriche, nell’anno internazionale a loro dedicato. L’epidemia di Covid-19 ha impedito questi festeggiamenti: il testo era nato per celebrare questo evento, insieme a anche un volume, uscito per i tipi dell’Editore fiorentino Angelo Pontecorboli, curato da me e Luca Borghi: “La penna di Florence Nightingale”.
Alle infermiere e agli infermieri, che, in questo periodo più che in altro momento, si sono prodigati per la salute collettiva, sono stati idealmente dedicati sia il dialogo sia il volume. Il primo motivo è, quindi, celebrativo. Poi, ce n’è uno più contenutistico: la figura di Florence Nightingale è sempre stata relegata in una vulgata che doveva essere ricondotta alla realtà storica. Basta con la figura della donna bigotta, che svolge il suo lavoro con compassione, tanto da essere chiamata la “Signora della Lampada”. Era, in realtà, una donna volitiva, decisa, che era stata soprannominata la “Signora col Martello”, perché aveva usato un martello per aprire l’armadietto coi farmaci, che il medico non voleva darle. Poi, un giornalista sostituì il martello, troppo maschile, con una graziosa lampada, molto più femminile».
In quale quadro storico è collocata la rappresentazione?
«Nella metà dell’Ottocento, quando nella storia della Medicina e della Sanità, si verificano due grandi rivoluzioni: la prima riguarda il concetto di malattia, la seconda implica un ripensamento generale dell’assistenza, nel quadro di un nuovo approccio al malato, che permetteva la definitiva acquisizione del nesso tra clinica, anatomia e anatomia patologica. Contemporaneamente alla rivoluzione medico-scientifica, si disegnava infatti una rivoluzione umanitaria, ad essa profondamente unita: protagonisti di questo movimento furono Florence Nightingale che, in occasione della guerra di Crimea (1853-1856), era responsabile dell’organizzazione del volontariato femminile con compiti di assistenza sanitaria, e Henry Dunant (1828-1910) che, dalla battaglia di Solferino, uno degli scontri più sanguinosi della Seconda Guerra di Indipendenza italiana, trasse un ricordo indelebile, da cui sarebbe scaturita la fondazione, a Ginevra, nel 1864, della Croce Rossa Internazionale.
Alla metà dell’Ottocento, quindi, la storia dell’assistenza conobbe una fortissima svolta: fino ad allora, in assenza di una vera e propria vocazione, la prestazione infermieristica aveva sempre risentito dell’improvvisazione. La tipica infermiera, come Sairey Gamp e Betsy Prig dell’opera di Charles Dickens, era una persona sciatta, senza preparazione, amante del bere e del tabacco. L’intervento di Florence Nightingale segnò un vero e proprio sconvolgimento. Non solo: l’opera di Florence si colloca in un momento storico in cui le donne cercavano la loro posizione all’interno della società: chiedevano autonomia, possibilità di lavorare, di essere parte attiva nel mondo. Pensiamo al movimento delle Suffragette e a quell’associazionismo femminile, che si sviluppa prevalentemente nei Paesi anglofoni. Pensiamo ai Club e alle unioni di professioniste. Il suo intervento è stato decisamente forte e determinante per compiere i primi passi nel mondo dell’autonomia femminile».
Quanto sono attuali, ancora oggi, l’operato e il messaggio della Nightingale?
«Sono ancora attualissimi e noi siamo chiamati in causa dalla stessa Florence Nightingale e siamo invitati a fare un bilancio del nostro atteggiamento, di fronte a una medicina che cambia, a un’assistenza che sente l’esigenza di rinnovarsi, ma, soprattutto, di fronte alle necessità della formazione. Florence Nightingale ci ha indicato molte strade e lei stessa ha intrapreso numerosi percorsi.
Lei stessa quando sogna l’assistenza domiciliare fa riferimento all’anno Duemila. Ora ci siamo e parliamo di medicina del territorio. Coscienza, impegno, passione rimangono elementi costitutivi della professione infermieristica di allora come di oggi, uniti alla dimensione tecnica e scientifica, ma questo messaggio dovrebbe valicare gli stessi limiti della professione infermieristica, per coinvolgere tutte le professioni sanitarie, in nome della centralità del malato nell’atto medico ed assistenziale».
Come s’inserisce lo spettacolo all’interno di una manifestazione in cui si parlerà di “consapevolezza”?
«Nella prospettiva di una Sanità attenta anche agli aspetti umanitari dell’assistenza, recependo nel contempo le suggestioni che venivano dal mondo scientifico, Florence Nightingale, con la creazione dell’infermieristica professionale, dette vita a una figura-chiave nella gestione della spedalità: a lei si deve, infatti, la stesura di una carta degli infermieri, dove era richiamata la necessità di condurre una vita irreprensibile e di praticare la professione con onestà e decoro, elevandone il contenuto tecnico e coadiuvando il medico nel suo lavoro, offrendo la propria disponibilità per il benessere dei malati. Florence Nightingale attribuisce una profonda dignità alla figura dell’infermiera, realizzando un preciso percorso formativo e dando una definizione moderna della disciplina, anche nei confronti del rapporto con il medico.
Oggi, infermiere e infermieri non vogliono essere definiti “eroi”, in quanto l’eccezionalità della pandemia ha evidenziato quello che fanno da sempre, mettendo in pratica il coraggio, la fiducia, la resilienza. Ma non vogliono nemmeno essere chiamati “paramedici”, come, spesso, vengono indicati, per eccessiva semplificazione e per emulazione coi telefilm di azione americani: “911. Chiamate i paramedici”. No: vivono, agiscono, esercitano la loro professione, è vero, “accanto ai medici”, ma sono il frutto di un percorso formativo e professionale autonomo, ben identificato, storicamente accreditato. Sono, cioè, consapevoli».
Lo spettacolo ha avuto moltissime repliche: a cosa è dovuto questo successo?
«Il testo è gradevole, ironico, coinvolgente, sostenuto da un’accurata ricerca delle fonti. Gli interpreti sono bravissimi e perfettamente calati nei ruoli. Infermiere e infermieri si riconoscono nella storia. Ci sono tutti gli ingredienti giusti per un lavoro di successo e ci auguriamo che anche altri contesti, al di là della Toscana, accolgano questa versione reale di Florence Nightingale, in tutta la sua portata culturale e sociale».