L’infermiera, iscritta a Opi Firenze-Pistoia, ha analizzato l’argomento con un’ampia ricerca
Come si intreccia la professione infermieristica con la cinematografia? Ad affrontare questo tema in una tesi di laurea è stata Benedetta Felici. Il suo lavoro si intitola “La professione infermieristica in Italia tra arte e realtà: un confronto tra immaginario cinematografico e percezione sociale”. La neo infermiera è iscritta all’Ordine delle professioni infermieristiche di Firenze e Pistoia da poche settimane e ha anche una laurea di lingue alle spalle.
Di cosa si occupava prima della laurea in Infermieristica?
«Lavoravo in Cina, insegnavo inglese in una scuola elementare. Ho vissuto lì fino all’arrivo della pandemia da Covid-19: poi sono tornata a vivere a Pistoia».
Cosa l’ha spinta a intraprendere anche questo percorso di studi?
«Il settore sanitario è sempre stato la mia passione. A darmi la spinta decisiva a iniziare questo nuovo percorso lavorativo è stata un’esperienza da paziente, vissuta nel 2020».
Come mai ha scelto di sviluppare proprio questo argomento?
«Mi sono appassionata alla storia dell’infermieristica sin dal primo anno universitario e sono sempre stata anche una grande appassionata del cinema. Poi ho letto per caso un articolo sul tema, scritto da Vincenza De Santis e Silvia Caccia, pubblicato sulla rivista “L’infermiere” nel 2019. S’intitola “Infermieristica tra stereotipi e modelli incompiuti nell’arte cinematografica”. Mi ha incuriosito leggere come il cinema avesse rappresentato la figura dell’infermiere nel tempo. Nell’articolo vengono raccolti film di produzione italiana dal 1950 fino al 2018, evidenziando la presenza di stereotipi».
Come ha impostato il suo lavoro?
«Partendo da questo articolo ho voluto visionare personalmente i film citati per confermare o confutare gli stereotipi evidenziati. Ho lavorato solo sulla filmografia italiana. Una volta confermati, ho voluto non solo capire se vi fosse una base storica ad aver alimentato certe tematiche, ripercorrendo quindi la storia dell’infermieristica in Italia, ma anche verificare se nel 2024 gli stereotipi del 2018 fossero ancora attuali. Inoltre, ho confrontato i dati raccolti con l’opinione pubblica, preparando un questionario (reso disponibile su Google Forms), composto da 34 domande a risposta multipla, rivolto alla popolazione maggiorenne e laica. Ho lavorato su 200 risposte di laici».
Cosa è emerso?
«Bisogna fare una distinzione tra i dati che emergono dall’analisi della cinematografia e quelli del questionario. Mettendo a confronto la filmografia 1950-2018 e quella 2018-2024 vediamo un cambiamento nella rappresentazione della figura dell’infermiere, soprattutto dopo il Covid. Nella filmografia che viene dopo il 2020 si punta più sulle competenze intellettuali dell’infermiere. Dal 2018 a oggi, scompaiono alcuni stereotipi come quello dell’infermiere factotum e dell’infermiera sexy. Gli infermieri ricoprono ruoli di rilievo. In alcune pellicole sono i protagonisti, rappresentati con rispetto e dando rilievo alle loro competenze. Come in “Odio il Natale”, dove oltre a mostrare le competenze cliniche della protagonista si fa un chiaro riferimento al famoso quarto articolo del Codice deontologico, la “Relazione di cura”, ma altri esempi possiamo trovarli nelle serie “Lea” o “La Linea verticale”».
Dunque, solo esempi positivi nei film di oggi?
«Ci sono varie sfumature. Nonostante questi cambiamenti significativi, seppur declinato diversamente, nella serie TV “Lea” resta lo stereotipo della vocazione, dell’infermiera che infrange la legge pur di aiutare un paziente. Continuiamo a vedere una compagine prettamente femminile. Se c’è un intreccio amoroso è sempre tra medico uomo e infermiera donna come in “Odio il Natale” o in altre serie, confermando lo stereotipo di genere. E, dulcis in fundo, nel film “La Scommessa”, uscito di recente, si svilisce la professione riproponendo una figura di dubbia moralità».
Dai dati dei questionari cosa emerge?
«Con molta probabilità legato al retaggio storico-culturale italiano, ma rimane ancora marcato lo stereotipo della vocazione, tuttavia è cambiato il modo di percepire questa figura professionale. Oggi da ritenersi una figura positiva, attenta ai bisogni dei pazienti e dei loro familiari, potendo così affermare che la figura di dubbia moralità non rispecchia il sentito comune. Tuttavia, il dato su cui riflettere che emerge attraverso tutto il questionario, e quindi nella percezione comune, è come l’infermiere sia ancora visto come un factotum, diversamente da quanto accade nella filmografia degli ultimi anni. In particolare, dalle risposte al questionario il medico risulta come riferimento intellettuale, a cui fare domande strategiche sulla salute, mentre l’infermiere come figura che svolge il lavoro nella pratica».
Perché secondo lei?
«Per la mancanza di conoscenza della professione infermieristica, vero motore di questo stereotipo, e non di certo il retaggio del passato. Un dato che emerge mettendo a confronto lo studio fatto sulla filmografia e il questionario, il quale evidenzia lacune importanti. E finché ci sarà questo gap tra ciò che la popolazione conosce, ipotizza, riguardo la professione infermieristica e quello che invece realmente è, ci sarà sempre spazio per speculazioni e stereotipi di questo genere».
Alessandra Ricco
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