La riflessione di Sandro Spinsanti, teologo e psicologo esperto di bioetica
Il tema del fine vita non coinvolge da vicino solo i pazienti e i loro familiari ma anche medici, infermieri e altri professionisti sanitari. Complice la presa di posizione della Toscana, che ha fatto da apripista nella definizione di un percorso per il suicidio medicalmente assistito, è inevitabile che a breve sarà delineata una legge nazionale. «E quindi quale posizione potranno/dovranno assumere medici, infermieri e altri professionisti sanitari?»
È questa la domanda al centro della riflessione di Sandro Spinsanti (il testo integrale è disponibile qui sotto), teologo e psicologo esperto di bioetica che ha insegnato etica medica presso alla facoltà di medicina dell’Università Cattolica di Roma e bioetica all’Università di Firenze. Spinsanti, fondatore e direttore dell’Istituto Giano per le medical humanities, è stato inoltre componente del Comitato nazionale per la bioetica e presidente di numerosi comitati etici per la ricerca.
La consapevolezza: «Morire nel nostro contesto culturale è medicalizzato»
«Dovrà essere rispettata la possibilità di un ventaglio di posizioni, non riducibili solo all’alternativa di favorevoli o contrari – scrive Spinsanti -. Non si tratta tanto di filosofeggiare sulla vita e sulla morte, sulla disponibilità o indisponibilità della vita umana: il focus della questione è costituito dalla presa di coscienza che il morire nel nostro contesto culturale è medicalizzato. Ciò implica che i tempi e i modi del fine vita – al di fuori di una morte che avvenga in contesti catastrofici e improvvisi – dipendono da quanto si fa o si omette di fare ricorrendo alle risorse sanitarie».
Fine vita, non c’è solo bianco o nero: comprendere le sfumature
Uno scenario in cui le posizioni che assumono i professionisti della cura sono molto più differenziate della semplice polarizzazione tra favorevoli e contrari. «Nei confronti delle cure palliative, e ancor più dell’attività di cura in generale – spiega Spinsanti -, dobbiamo riferirci ad atteggiamenti di fondo, ai quali possiamo dare il nome di “posture”. Lo studioso scende nel dettaglio e tracciando cinque diverse tipologie di postura, scientista, vitalista, specialistica, filantropica e conversazionale.
La postura incide e sulla capacità della persona malata di prendere decisioni
Non si tratta di catalogare: l’obiettivo è «aiutare a riconoscere, nell’infinita e personalissima caratterizzazione delle posture che assumono i professionisti sanitari, alcuni tratti dominanti. Da questi dipendono gli atteggiamenti di fondo che assumono in tutto il percorso di cura: la postura incide sulle informazioni – se vengono o non vengono date, nonché sulla modalità con cui vengono comunicate – e sulla capacità della persona malata di prendere delle decisioni relative al come, quanto, dove della cura stessa».
Riconoscere la postura di un professionista aiuta nel percorso
«Il vantaggio di riconoscere la postura dei professionisti per le persone che le cure le ricevono è quello di destreggiarsi meglio nel labirinto del sistema sanitario, facendo scelte più consapevoli e funzionali […] Ci sono posture compatibili con il percorso auspicato e altre decisamente contrarie. Potersi interfacciare con professionisti caratterizzati da un profilo posturale compatibile con le proprie aspirazioni ideali di cura è indispensabile per chi vuole affrontare il vivere e il morire in modo consapevole».
Le posture e l’impatto sul profilo delle cure di fine vita
«Le posture assunte – dove confluiscono conoscenze e valori, oltre che le proprie convinzioni sul mondo e la decisione di come collocarsi in esso – incidono profondamente sul modo in cui si svilupperà la cura. In particolare hanno un grande impatto sul profilo che prendono le cure di fine vita – conclude -. Si tratta di assumerne la consapevolezza, da una parte come dall’altra dello scenario della cura. E se il percorso di fine vita si sviluppa in modalità di accompagnamento, scegliere, per quanto possibile, i compagni di viaggio appropriati».