Il punto con Monica Marini dirigente infermieristica della Ausl Toscana Centro
Più volte nell’ultimo periodo, analizzando la gestione dell’emergenza Covid è emerso il ruolo cruciale di un’adeguata assistenza infermieristica sul territorio. Un modello capace di dare risposte efficaci a nuovi bisogni di salute nell’ambito di un sistema di cure in cui l’ospedale, si è verificato con l’esperienza, presenta dei limiti. Per fare luce sul ruolo e sull’importanza dell’infermieristica domiciliare/territoriale, Opi Firenze Pistoia ha chiesto di fare il punto a Monica Marini dirigente infermieristica della Ausl Toscana Centro con incarico professionale Sos Gestione Firenze. Oltre a confermare la sempre crescente necessità di implementare l’Infermieristica di Famiglia e di Comunità, l’emergenza Covid, pur nella sua drammaticità, ha permesso un’inedita flessibilità organizzativa. Aprendo alla possibilità di sperimentare nuove soluzioni.
Dott.ssa Marini, qual è il ruolo e l’importanza dell’ambito domiciliare/ territoriale?
«L’invecchiamento della popolazione e il conseguente incremento delle malattie croniche, ovvero la necessità di aiutare gli anziani a vivere nel proprio domicilio il più possibile garantendo un aiuto nella vita di tutti i giorni e rafforzandone l’autonomia, è obiettivo fondamentale di un modello di cure domiciliari. Oggi l’attuale pandemia ha fatto emergere nuovi bisogni di salute anche nella popolazione giovane e adulta che avvalorano la necessità di trovare risposte d’elezione nella domiciliarità. L’ambito domiciliare è il contesto preferenziale in cui perseguire gli obiettivi di salute dei singoli e delle famiglie. In assenza di un sistema di cure così concepito l’ospedale, infatti, diventa spesso l’unico punto di accesso al sistema sanitario. Con conseguenze negative per la gestione epidemica e la qualità di vita degli assistiti che potrebbero e preferirebbero essere curati a casa. Incidendo inoltre su problemi organizzativi per la congestione delle attività ospedaliere».
Cosa è necessario fare per implementare la domiciliarità?
«Occorre porre sempre più attenzione al tema della qualità di vita e al vissuto di malattia della persona. In questo senso diventa necessario lo sviluppo di un modello assistenziale che tragga fondamento dall’esperienza del singolo. E che sia orientato alla sua prospettiva di salute. L’Infermieristica di Famiglia e di Comunità, di cui si sta parlando molto in questo periodo, sensibilmente differente dall’assistenza ospedaliera, valorizza un approccio più focalizzato sul contesto di vita quotidiana della persona e si articola attraverso un modello basato su alcuni concetti portanti. Tra questi, quello della prossimità con la persona e il suo contesto di riferimento sociale. Solo conoscendo l’ambiente di vita della persona (famiglia, comunità) è possibile rendere il cittadino partecipe e al centro delle proprie scelte. Condividendo aspettative, obiettivi di salute, percorsi di cura».
Come è possibile raccordare meglio le cure domiciliari con gli altri ambiti dell’assistenza?
«L’applicazione del modello di Infermieristica di Famiglia e di Comunità nelle cure territoriali necessita di un forte cambiamento culturale da parte dei professionisti e del sistema organizzativo nel suo insieme. In particolare lo sviluppo di competenze estensive e trasversali per dare risposte globali ai bisogni di salute e l’orientamento alla famiglia e alla comunità per la mobilitazione di risorse richiedono il passaggio da un modello per compiti ad uno personalizzato e orientato ai risultati. Dal punto di vista dell’organizzazione occorre passare da una logica di separazione delle competenze, in cui i servizi operano distintamente l’uno dall’altro, ad una logica integrata in cui il tracciante comune sia rappresentato dal percorso di cura. In tal senso l’Infermiere costituisce un elemento di facilitazione nella transizione del paziente attraverso i vari servizi e le fasi di malattia. Inoltre, per garantire una risposta globale, l’assistenza primaria deve essere distribuita all’interno di un sistema più ampio e articolato su più professionalità. In particolare l’infermieristica è chiamata ad esprimere il suo contributo nei servizi ad alta integrazione socio-sanitaria. Come l’Agenzia di Continuità Ospedale Territorio, le Cure Intermedie, le Strutture residenziali e semi-residenziali».
Come è/è stata la situazione nel territorio in fase di emergenza?
«Il Servizio Sanitario ha dato prova di grande flessibilità nel modificare l’organizzazione per fare fronte alla pandemia Covid-19. Le azioni messe in atto hanno coinvolto profondamene sia la rete ospedaliera che il territorio. E rappresentano vere innovazioni assistenziali, fortemente sostenute dal Dipartimento Infermieristico ed Ostetrico della Azienda USL Toscana Centro; sostenute negli anni e probabilmente da consolidare anche in futuro. In particolare nel contesto del comune Fiorentino l’esigenza di garantire risposte domiciliari celeri per la gestione dei casi complessi, interventi di supporto alla gestione di casi nelle strutture socio-sanitarie ha creato i presupposti per favorire l’attuazione su tutto il territorio del modello infermiere di famiglia e di comunità. Durante la fase di emergenza una forte integrazione della rete socio- sanitaria ha consentito l’attivazione delle risposte territoriali oltre all’adeguato sostegno per l’apertura e la gestione di numerosi alberghi sanitari che hanno permesso di dare risposte ai cittadini con necessità di isolamento domiciliare supportando anche altri comuni».
Quali sono le potenzialità future che si sono aperte nell’ambito delle cure territoriali dopo questa esperienza?
«L’esperienza di questi mesi ha delineato uno scenario in cui l’infermieristica territoriale contribuirà sostanzialmente a far nascere un nuovo modello a sostegno della domiciliarità, dell’accessibilità ai servizi in prossimità ai cittadini. Fondato sull’integrazione dei professionisti della salute».