Aids: «Oggi conviverci è possibile. Informare e informarsi per evitare inutili discriminazioni»

L’intervista e l’esempio di Giusi Giupponi, presidente di LILA, Lega Italiana per la Lotta contro l’Aids

È una storia nella storia quella che vogliamo raccontarvi in questo articolo. Una riguarda il percorso e il sostegno che l’associazione LILA Lega Italiana per la Lotta contro l’Aids, ha saputo costruire e dare in questi anni alle persone. L’altra riguarda la vita e l’impegno della sua attuale presidente, Giusi Giupponi, lei stessa con Hiv dal 1999 e soprattutto con una personale vittoria contro l’Aids. L’abbiamo intervistata in occasione della giornata mondiale del primo dicembre.

Cos’è cambiato dagli anni ‘80 a oggi?

«Il primo caso in Italia è stato diagnosticato nell’1982. A distanza di anni nella cura e nella gestione della malattia è cambiato molto. A livello di mentalità invece siamo purtroppo fermi sempre allo stesso punto».

Perché secondo lei?

«Persiste la paura di fare il test per l’Hiv, di essere discriminati. C’è ancora un retaggio culturale che porta a pensare che questo esame sia riservato a persone tossicodipendenti a chi si prostituisce o agli omosessuali. Un timore che crea inevitabilmente ritardi nella diagnosi. Più del 60% delle persone scopre la diagnosi quando è già nella fase della malattia, con un organismo debilitato».

Quante diagnosi di infezione sono state fatte nel 2022?

«Circa 2mila, una media dunque di cinque infezioni al giorno. Di queste l’84% è da attribuire alla trasmissione tramite rapporti sessuali, il 43% (25% maschi e 18% donne) eterosessuali, il 41% “MSM” (maschi che fanno sesso con maschi). A oggi in Italia ci sono circa 143mila persone infette. Numeri che sono in crescita a partire dalla comparsa del Covid». 

Quando si parla di rapporti a rischio?

«Il virus è presente in sangue, sperma o secrezioni vaginali. Sono dunque a rischio i rapporti anali e vaginali non protetti e quelli orali praticati non protetti. Certamente non un abbraccio o un bacio. L’Hiv è un’infezione che può colpire chiunque abbia rapporti non protetti con persone di cui non conosce lo stato sierologico».

Dopo quanto tempo è opportuno fare il test dal sospetto rapporto a rischio?

«Devono trascorrere 21 giorni prima di fare il test. Ci sono varie opzioni su dove effettuarlo, dall’ospedale ai contesti associativi che offrono la possibilità di sottoporsi a un test capillare o salivare». 

Cosa implica scoprire di essere una persona con Hiv?

«Si inizia subito una terapia antiretrovirale, composta da uno o al massimo due farmaci da assumere al giorno per tutta la vita. L’obiettivo è azzerare la carica virale e renderla non rilevabile, per mantenere il virus inoffensivo. Ogni caso è a sé ma di base è possibile nell’arco già di sei mesi raggiungere questo risultato».

Cosa significa per la quotidianità che il virus dell’Hiv sia non rilevabile?

«Avere stabilmente una carica virale non rilevabile (U=U) vuol dire che si può anche vivere un’esistenza senza sintomi, oltre che essere liberi di scegliere. Scegliere, ad esempio, di programmare una gravidanza, concepire e partorire anche in modo naturale senza rischi per il nascituro. Liberi di fare la professione che si vuole e di avere rapporti sessuali non protetti con il proprio partner. Non si è tenuti a dichiarare il proprio stato sierologico a nessuno, neanche al datore di lavoro. Si può scegliere a chi, quando, come e perché dirlo. Liberi, insomma, di avere una aspettativa di vita pari a chi non ha l’Hiv». 

Quante sedi avete in Italia?

«Dieci, da nord a Sud. Solo nell’ultimo anno abbiamo ricevuto più di 5600 richieste di supporto e offerto oltre 5mila test».

Chi secondo lei è più predisposto all’ascolto?

«I ragazzi nelle scuole. Come LILA portiamo avanti molti progetti, tra cui “EduforIST”, coordinato dall’Università di Pisa e finanziato dal Ministero della Salute. L’iniziativa è un’esperienza pilota di educazione alla sessualità estensiva condotta nelle scuole secondarie di primo grado in quattro regioni italiane (Lombardia, Toscana, Lazio e Puglia). Nonostante ciò, non possiamo che constatare che nelle scuole viene fatto meno degli anni passati in termini di educazione sessuale e all’affettività». 

Quali sono le domande che vi vengono fatte più di frequente?

«Difficilmente si distingue l’Hiv dall’Aids e in molti non sanno che con il bacio non si trasmette il virus. Informarsi e informare è fondamentale per evitare casi di discriminazione, come ancora oggi accade in molti ambiti, incluso quelli sanitario». 

Come ha affrontato la sua sieropositività?

«Con tutta la forza che potevo mettere in campo. Ho scoperto a 35 anni di essere sieropositiva ed ero già in Aids. Avevo un mio ristorante che ho dovuto chiudere perché mi mancavano le forze per portarlo avanti. Mi avevano diagnosticato 6 mesi di vita e oggi ho 59 anni. È stato un percorso in salita: avevo il virus da 3 anni, mi stavo curando da 6 mesi e nessuno ha mai pensato di farmi fare il test dell’Hiv. All’epoca avevo un compagno, non era stato lui la causa dell’infezione e non ha voluto proseguire la relazione. Mi sono ritrovata sola ad affrontare tutto, questo è stato più duro della diagnosi. Chiesi aiuto alla LILA di Como e oggi eccomi qui. Non ho mai mollato, ho iniziato a fare contratti di vita con me stessa, scommettendo su tappe di età da raggiungere. Dopo i 60 anni punto dritta ai 70!». 

Alessandra Ricco

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