Si tratta del primo infermiere italiano a ricevere il prestigioso riconoscimento internazionale
di Margherita Barzagli
Gennaro Rocco, è il primo infermiere italiano a ricevere il premio International Nurse Researcher Hall of Fame. Fondatore del Centro di Eccellenza per la Cultura e la Ricerca (Cecri), ha ricevuto il riconoscimento dalla Sigma Theta Tau International Honor Society of Nursing per l’impatto significativo che la sua opera e la sua ricerca ha dato alla professione infermieristica in Italia e nel mondo.
Si aspettava questo riconoscimento?
«Sinceramente no, è un premio talmente selettivo e prestigioso che non mi aspettavo questo esito. Mi hanno sorpreso le tre grandi personalità che mi hanno presentato: per aprire questa induction bisogna infatti essere proposti da tre professionisti di fama internazionale e autorevoli e io, a presentarmi, ho avuto tre colleghi americani. Essendo membro italiano dell’organizzazione Sigma Theta Tau, avevo i prerequisiti per essere candidato ma quando ho avuto la notizia è stata una grande sorpresa. È un premio prestigiosissimo per gli infermieri ed è conferito a coloro che si sono messi in evidenza per ricerca e innovazione.
È la prima volta che un infermiere italiano riceve questo premio, un traguardo che solo poche persone riescono a raggiungere: lo possiamo definire come un grande successo per l’infermieristica italiana, che è sempre stata un po’ la “Cenerentola” a livello mondiale e che, per fortuna, da quando è attivo il nuovo sistema di formazione accademica e con lo sviluppo dei dottorati di ricerca, ha avuto un grande ruolo. Anche la creazione del primo centro di eccellenza per la ricerca infermieristica che ho creato in Italia dodici anni fa, il Cecri, ha contribuito all’arrivo di questo autorevole riconoscimento».
Come si può promuovere la leadership degli infermieri e riconoscere e divulgare l’eccellenza e l’impegno dell’infermieristica italiana rendendola visibile in Italia e nel mondo?
«Lo sviluppo della leadership infermieristica è uno degli obiettivi della Sigma Theta Tau e quello che stiamo facendo da qualche anno è proprio finalizzato a questo obiettivo. Per poter avere dei riconoscimenti ed essere collocati in ruoli apicali e di impatto sia in istituzioni nazionali che internazionali, serve un numero di colleghi che possano contribuire a questo dibattito e a promuovere questa leadership. Noi lo stiamo facendo attraverso una promozione sempre più ampia di corsi formativi di eccellenza. Le scuole di dottorato ci hanno dato un grande aiuto in questo. Abbiamo creato quel substrato di infermieri che sono oggi abilitati per ricoprire cariche istituzionali. Oggi siamo nell’Istituto superiore di sanità, alla pari di altri storici componenti come medici e biologi.
Ciò è stato possibile perché abbiamo promosso dalla base conoscenze e competenze: fondamentalmente il primo impegno è nella logica della formazione di un gruppo sempre più nutrito di infermieri esperti e competenti. Il secondo step riguarda la componente più politica, cioè creare condizioni, modi per cui gli organismi rappresentativi e istituzionali (Ministeri, Governi) riconoscano l’evoluzione verso l’alto della professione infermieristica e coinvolgano gli infermieri con questi requisiti nei ruoli apicali. In sintesi sono questi due gli ambiti d’azione: creare professionisti che possano ricoprire ruoli istituzionali e muoversi a livello politico per farli coinvolgere.
Tutto questo non può non prescindere da una crescita globale della professione: oggi abbiamo creato una figura professionale di altissimo profilo, però purtroppo abbiamo da un lato modalità di organizzazione che in molte realtà ricalcano ancora i vecchi modelli non più allineati ai nuovi standard di formazione; dall’altro un riconoscimento contrattuale e possibilità di sviluppo di carriera fortemente penalizzanti. Credo che per promuovere leader servano opportunità importanti per tutti colori che svolgono la professione. Su questo, in Italia siamo un po’ indietro ma sembra che il nuovo contratto, alla firma proprio in questi giorni, preveda una valorizzazione ed un riconoscimento della figura infermieristica attraverso gli incarichi di funzione e di posizione».
Come è cambiata la concezione della professione infermieristica nel corso degli ultimi anni?
«Per l’opinione pubblica certamente c’è stato un iniziale riconoscimento importante. Quando si è passati dalla tradizionale formazione professionale all’Università c’è stata grande campagna di informazione: i cittadini avevano grandissime aspettative e ciò è avvenuto in numerose realtà italiane ma non in tutte. Ci sono zone del Paese dove c’è ancora molto da fare per far sì che gli infermieri riescano ad esprimere al meglio le proprie potenzialità. Quindi, inizialmente grande aspettativa e grande cambiamento. Ma c’è ancora molto da fare. Serve una rivalutazione, anche delle competenze degli infermieri.
Nel gruppo professionale c’è questa grande consapevolezza di questa crescita culturale, legata allo sviluppo dell’autonomia: la consapevolezza di potenzialità enormi. Ci sono infermieri che esercitano attività altamente complesse e curano le persone da un punto di vista tecnico, umano, relazionale e psicologico e lo fanno con competenza. C’è anche la delusione che a tutta questa nuova responsabilità non corrisponda un compenso adeguato, e potenzialità di carriera, soprattutto in ambito clinico. Per ora è riconosciuta solo in ambito manageriale o accademico ma anche qui in piccola percentuale. Bisogna spingere sul riconoscimento della carriera clinica. Non si può più aspettare.»
Quali sono gli elementi essenziali per riuscire a svolgere la professione?
«Serve rivedere i modelli organizzativi, ridistribuendo le varie funzioni e competenze in modo adeguato. Molti infermieri sono soliti svolgere ancora compiti che non sono loro propri. Molti sono occupati in altre attività, anche esclusivamente amministrative che non gli apparterrebbero. Dovrebbero essere messi in condizione di poter esercitare compiutamente ciò che il profilo professionale prevede, cioè la presa in carico della persona assistita e la gestione dei processi di cura sia nell’ambito “storico” del sistema sanitario, basato sugli ospedali, che sulle strutture alternative, sulle famiglie, sul territorio. Dobbiamo sviluppare quello che da anni sosteniamo essere il futuro della sanità italiana e che recentemente abbiamo scoperto come necessità con la pandemia: un infermiere di famiglia e di comunità sul territorio. Tutto ciò serve agli infermieri e al servizio sanitario ma anche ai cittadini e al Paese. Serve una revisione del modello sanitario»
Su che tipo di ricerche si focalizza il Centro che lei dirige?
«Sosteniamo tutti i filoni di ricerca, diamo opportunità ai giovani ricercatori di presentare progetti a 360 gradi. Non abbiamo selezionato un filone di ricerca particolare su cui investire risorse ed energie: abbiamo scelto di sostenere la ricerca in ogni ambito, annualmente facciamo una call a cui partecipano colleghi per le varie aree in cui opera l’infermiere. Si spazia dall’assistenza infermieristica nella cronicità e nell’invecchiamento, alla sicurezza dei pazienti e degli operatori; dalla “Leadership, workforce e organizzazione sanitaria” all’ Evidence-Based Practice; dalla “Salute digitale (Digital Health and Innovation)” all’Etica, deontologia, regolamentazione e responsabilità professionale. Le ricerche che noi finanziamo permettono di realizzare pubblicazioni scientifiche su riviste internazionali; danno risultati che cerchiamo di traslare nella realtà attraverso un polo specifico del centro di ricerca. Cerchiamo di prendere i risultati della ricerca e applicarli alle realtà in cui gli infermieri operano».
L’Italia in che posizione si trova nel campo della ricerca?
«Rispetto a tre lustri fa e a oggi, siamo cresciuti in maniera esponenziale. Abbiamo creato un sistema virtuoso che mette insieme i Centri di eccellenza con le scuole di dottorato che rappresentano l’anima delle attività di ricerca. Questo ha permesso agli infermieri italiani di entrare a pieno titolo nell’arena internazionale. Non a caso negli ultimi anni abbiamo ricevuto numerosi riconoscimenti, anche internazionali per il contributo che abbiamo offerto per il progresso e l’evoluzione della professione infermieristica a livello globale. Abbiamo molti infermieri pronti ad entrare in università come ricercatori e professori e ci stiamo allineando alla media dei Paesi occidentali avanzati anche per la ricerca infermieristica.
Purtroppo in Italia non riusciamo a trovare finanziamenti adeguati per la ricerca in generale e per quella infermieristica in particolare. Negli Stati Uniti ed in molti Paesi Europei invece, vengono da sempre stanziati milioni di dollari e di euro anche per il Nursing, e questo ha consentito di produrre evidenze scientifiche che applicate nella pratica clinica comportano un grande miglioramento della qualità dell’assistenza. Il Cecri sta supplendo da anni a questa carenza proprio con la promozione, il sostegno ed il finanziamento di iniziative e proposte di ricerca che arrivano dagli infermieri ma ciò non basta! È assolutamente necessario che siano finalmente le Istituzioni a farsi carico del sostegno e dello sviluppo della ricerca riconoscendo a quest’ultima la straordinaria ed imprescindibile funzione che essa svolge per il miglioramento della sicurezza e della qualità di vita dei cittadini».