L’infermiere di famiglia e comunità, un professionista al servizio dei cittadini

Il punto su quanto fatto e quanto resta da fare nell’incontro organizzato da OPI Fi-Pt

Una sfida importante, che potrà essere affrontata solo se ci saranno un lavoro di squadra, una formazione adeguata, ma anche i giusti investimenti. È la sfida dell’infermiere di famiglia, figura di cui si parla da molto tempo, ma ancora scarsamente valorizzata. Proprio al suo sviluppo è stato dedicato l’incontro dal titolo “Infermiere di famiglia e comunità: un professionista al servizio dei cittadini” organizzato da Opi Firenze-Pistoia.

Ad aprire i lavori della giornata, tenutasi nella sala Cinzia all’ospedale di San Jacopo a Pistoia, è stato il presidente di Opi Firenze-Pistoia, David Nucci, che ha fatto appello anche alla politica affinché ci siano investimenti adeguati. «Abbiamo davanti una sfida importante – ha sottolineato Nucci, ricordando che – che deve passare dalla formazione, dalla valorizzazione professionale e da un’adeguata remunerazione. Al momento infatti un infermiere è pagato quanto un operaio». Tra i presenti anche il sindaco di Pistoia, Alessandro Tomasi, che ha fatto eco alle parole di Nucci. «Nel nostro Paese – ha detto – con il Pnrr, stanno arrivando risorse che non avevamo mai visto prima d’ora. Servono salari giusti rispetto alla responsabilità e alla formazione degli infermieri. A tutti viene chiesto uno sforzo in più».

A moderare l’incontro Marco Pantini, coordinatore infermieristico territoriale zona Pistoia, che ha accolto gli ospiti. Diversi gli spunti, anche da chi come la dottoressa Lara Romagnani, coordinatore medici di Medicina Generale, è in prima linea. «Fare equipe, condividere insieme i percorsi. Rispettare le diverse professionalità sono le parole d’ordine da seguire nella professione dell’infermiere di famiglia e comunità – ha detto -. Dobbiamo condividere ciò che facciamo e ascoltarci . Ci sono sempre più fretta e sempre meno risorse. Invece risultati si ottengono se si lavora in equipe»

Insomma, quello sull’infermiere di famiglia è un lavoro complesso, che, come ha sottolineato Ginetto Marinello, presidente AIFec che ha percorso gli esordi della professione, richiede ancora molto lavoro da fare. «Siamo pieni di protocolli, procedure, linee guida, standard di riferimento – ha detto Marinello -. Dobbiamo fare spazio anche ad altro, senza perdere di vista la complessità. L’infermiere di famiglia non è l’infermiere delle cure domiciliari. C’è un problema concettuale e confusione sul ruolo. Non è sufficiente un ‘orso, giusto per mettere il bollino addosso, ma è necessario scardinare i paradigmi, partendo da una giusta ed equa formazione a livello nazionale».

Di metodo toscano ha parlato Monica Chiti, dirigente infermieristico, che  ha ripercorso quanto fatto nella nostra regione. «Esiste un bisogno urgente dell’infermiere di famiglia e di comunità – ha detto –  In Spagna, per esempio, quando si va scegliere il medico, si fa la scelta anche dell’infermiere di comunità. L’infermiere di famiglia è un modello, non è solo un profilo professionale. Se si cammina sullo stesso binario, i risultati ci saranno».

Alle parole di Chiti, si è aggiunto Fabio Pronti, dirigente infermieristico, che ha sottolineato la propria esperienza nel pistoiese. «Il Covid ci ha messo tutti a dura prova – ha detto – così anche la professione dell’infermiere è dovuta cambiare. Tutti abbiamo fatto un cambio di passo. Questo ci ha fatto capire che potevamo e dovevamo lavorare in modo diverso».

Emanuele Ginori, formatore, ha parlato invece dell’importanza delle competenze per la formazione universitaria dell’infermiere. «L’offerta didattica è troppo variegata – ha fatto notare – e gli studenti hanno necessità di capire meglio anche cosa succede fuori dall’ospedale. È importante parlare, comunicare con i pazienti e scrivere tutto ciò che succede durante le giornate. Perché servono nozioni che possiamo dare solo noi che siamo sul campo».

La figura dell’infermiere di famiglia e comunità infatti non può prescindere dalla relazione con il prossimo, come ha detto Anna Maria Celesti, presidente della Sds pistoiese. «Non c’è possibilità di entrare all’interno di una famiglia se non abbiamo la capacità di capire la centralità della persona – ha sottolineato nel suo intervento -. Quella dell’infermiere è una figura che nel tempo ha subito una serie di cambiamenti, non solo dal  punto di vista professionale e formativo, ma anche di confronto con tutto quello che è la cittadinanza»

E proprio di relazione, confronto e la necessità di un lavoro di gruppo hanno parlato Pina Piccolo e Paola Panichi, coordinatrici infermieristici. «Le persone hanno bisogno di essere ascoltate – hanno detto -. E il cambio di passo può essere solo quello di fare squadra tra di noi per abbattere le cattive abitudini».

Natascia Luzzi e Gloria Motroni, infermiere di famiglia, hanno invece portato la loro esperienza sul campo e accanto ai cittadini. «Le persone – hanno spiegato – hanno bisogno di essere ascoltate ed è così che l’infermiere diventa un punto di riferimento. Nelle nostre esperienze abbiamo ricevuto più di quanto abbiamo dato».

Open chat
Hai bisogno di informazioni?
Scan the code
Powered by weopera.it
Ciao
Come posso aiutarti?

Se non hai WhatsApp Web sul tuo PC, puoi scansionare il codice dal tuo Smartphone per metterti in contatto con noi.