L’infermiere Mohamed: «Il mio impegno quotidiano perchè i pazientri non siano solo numeri»

Il desiderio di aiutare il prossimo senza differenze di ceto sociale, colore della pelle provenienza o genere valorizzando il paziente bisognoso di cure senza trasformarlo in un numero. Per questo Abukar Aweis Mohamed, 47 anni, ha deciso di diventare infermiere nella sanità privata dove, dal 2000, lavora alla Casa di Cura Villa Donatello.  Lo abbiamo intervistato in occasione della Giornata Internazionale dell’Infermiere celebrata il 12 maggio

Come nasce la scelta di diventare un infermiere?

«Nasce dalla curiosità e dall’attenzione alla persona proprie della mia cultura. Dalla voglia di prendermi cura di chi ne ha bisogno ed è in situazione di fragilità e sofferenza, senza disumanizzare e rendere numeri coloro che sono in situazione di difficoltà senza discriminare. Penso che l’assistenza debba essere erogata a ciascuno nello stesso modo e con le stesse cure senza differenze di ceto sociale, colore della pelle provenienza o genere».

La sua attività si svolge nella sanità privata, secondo lei ci sono differenze con la sanità pubblica?
«Ci sono varie differenze tra sanità pubblica e privata iniziando dal contratto di lavoro fino al percorso di carriera. All’interno della sanità privata troviamo diversi contratti con retribuzione differente. Nel pubblico c’è una maggiore tutela sindacale rispetto nel privato».

Quali sono a suo avviso i punti di forza e di debolezza della sanità privata?

«I punti di forza sono l’assunzione del lavoratore senza concorso, solo presentando il curriculum vitae; l’esperienza lavorativa, che costituisce un canale preferenziale, soprattutto, per quanto riguarda la sala operatoria e l’area critica in generale. Tra i punti di debolezza ci sono la disomogeneità retributiva, le difficoltà di avanzamento di carriera professionale, lo scarso riconoscimento identità del proprio profilo professionale».

Cosa consiglierebbe a un giovane che si affaccia oggi alla sua professione?

«Di non smettere mai di studiare, di fare più esperienze possibili in aree diverse cercando stimoli professionali sempre nuovi. Personalmente posso affermare che le mie più grandi soddisfazioni personali sono state proprio nei reparti, mai avrei pensato potessero rispecchiare le mie attitudini. I miei futuri colleghi non si scoraggino mai di fronte alla stanchezza fisica e mentale a quello che può sembrare in alcuni momenti uno scarso riconoscimento e tengano sempre presenti che le più grandi soddisfazioni saranno rappresentate dai pazienti».

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