Una spiccata propensione alla volontà di essere utile per il prossimo ed offrire la propria professionalità ai meno fortunati è indubbiamente la base di un infermiere che intende operare in una delle Organizzazioni Umanitarie, sia quest’ultima operante nelle guerre, carestie, epidemie e calamità naturali. E’ altrettanto indubbio quanto la figura dell’infermiere sia un pilastro fondamentale in ciascuna Organizzazione Umanitaria, ente riconosciuto dagli Stati membri dell’ONU e strutturato in maniera decentrata fino alle sedi territoriali.
In molti casi non è solo il principio etico a spingere un infermiere ad intraprendere un’esperienza lontano dal proprio Paese ma spesso, soprattutto tra i giovani infermieri che non trovano la possibilità di lavoro all’interno del Servizio Sanitario Nazionale, la ferma volontà di sperimentare e di fare esperienze da inserire nel proprio curriculum formativo.
Ma intraprendere un’esperienza del genere esige una forza di volontà indiscutibile ma anche alcune caratteristiche caratteriali e professionali. Prima su tutte la capacità di lavorare in un gruppo formato da un’équipe multinazionale e multietnica. Questo preclude la necessità di avere doti di diplomazia e predisposizione alla collaborazione con culture diverse. L’infermiere di una Organizzazione Umanitaria non può sottovalutare inoltre il forte stress, emotivo e lavorativo, a cui sarà sottoposto. E’ sottinteso, infine, che l’infermiere conosca almeno una lingua straniera, l’inglese su tutte ma, negli ultimi tempi, anche lo spagnolo o il francese visti i territori d’intervento delle principali Organizzazioni Umanitarie.
L’infermiere potrà ricoprire diversi ruoli, secondo le esigenze richieste, ma dovrà saper vestire i panni formativi. Sempre più è richiesta una figura in grado di istruire il personale sanitario locale per superare anche la fase post emergenza. Al tempo stesso ciò richiede anche una indiscutibile capacità a relazionarsi con la popolazione e con i vertici politici che in certi casi si tramutano i capi tribù.
L’infermiere, nelle emergenze sanitarie, può inoltre operare con un ruolo di cooperante professionista, inteso come abbandono di ogni rapporto lavorativo con il SSN italiano e la decisione di operare unicamente in progetti sanitari esteri. Oppure, l’infermiere può decidere di collaborare in vari progetti sanitari in situazioni di emergenze sanitarie, soprattutto in Paesi in via di sviluppo, senza tuttavia abbandonare completamente il proprio ruolo lavorativo in Italia.
Ciò viene permesso in ragione della Legge 49/87, che prevede la concessione per i dipendenti pubblici di periodi di aspettativa non retribuita per progetti di cooperazione finanziati dal Ministero degli Affari Esteri o dall’Unione Europea con la conservazione del posto di lavoro.
Quella dell’esperienza di lavoro estera in ambito di emergenze sanitarie è, senza dubbio, un’esperienza unica e altamente formativa ma può essere molto traumatico. Perciò anche la sfera psicologica del personale in missione deve essere sotto stretta sorveglianza, avvalendosi della consulenza professionale di psicologi e psicoterapeuti.