Oltre 19 milioni di persone sono costrette a pagare per ottenere prestazioni sanitarie essenziali. Di queste, circa il 50% appartiene alle categorie più fragili da un punto di vista del reddito o della vulnerabilità sociale, come anziani e malati cronici. Il volume delle prestazioni sanitarie pagate direttamente dai pazienti (dalle visite specialistiche alle spese per le cure farmacologiche) è in crescita vertiginosa nel 2019 con un trend che negli ultimi dieci anni è passato da 95 a 155 milioni. Sono alcuni dei dati contenuti nel IX rapporto Rbm-Censis che mostrano un quadro allarmante nel panorama delle prestazioni sanitarie pubbliche.
Dal rapporto emerge come la spesa sanitaria privata media per famiglia ha raggiunto una quota pari a 1.522 euro all’anno. Una spesa, per molti redditi medio-bassi, quasi insostenibile. Questo, oltre all’aumento delle contribuzioni via ticket anche per le prestazioni del SSN, è dovuto principalmente al fatto che gli italiani scelgono per necessità di evitare le carenze della sanità pubblica e si rivolgono ai privati. L’inesorabile transumanza dal pubblico al privato è legata a disfunzioni coinvolgono anche l’erogazione stessa dei servizi, e si legano a pressanti problemi strutturali.
Le tempistiche delle liste di attesa e la carenza di personale sanitario sia infermieristico che specializzato sono le emergenze più evidenti. Se già adesso i tempi di prenotazione all’interno del sistema pubblico raggiungono limiti insostenibili per un corretto iter clinico e diagnostico, secondo uno studio condotto da ANAAO, entro il 2025 nelle strutture sanitarie pubbliche potrebbero mancare addirittura 16.500 medici. Secondo gli ultimi dati OCSE, la spesa sanitaria totale dell’Italia vale l’8,9% del PIL (al di sotto della media dei maggiori paesi occidentali), a livello pro capite la differenza con gli altri paesi sviluppati è di ben 527 dollari. Ogni anno vengono tagliati 37 milioni di euro di finanziamenti al sistema della sanità pubblica, con la pedissequa continuità di tutti gli esecutivi susseguitesi negli ultimi trent’anni. Il sistema sanitario italiano è stato la prima vittima degli implacabili tagli di contenimento della spesa pubblica. Di pari passo alla contrazione della spesa, si è proceduto alla riorganizzazione della sanità pubblica secondo un modello improntato all’efficientismo aziendalistico, che poggiasse anche e soprattutto sulle strutture sanitarie private, di fatto equiparate a quelle pubbliche attraverso il meccanismo dell’accreditamento. Attualmente circa il 40% dei servizi sanitari è erogato dai privati, mentre i costi delle transazioni non sono ammortizzati nemmeno da un meccanismo di tutele proprio della sanità integrativa: basti pensare che solo una minoranza degli italiani è dotato di una qualche forma di polizza assicurativa sanitaria.
Nel 2019, quasi 1 italiano su 2 (il 44% della popolazione), a prescindere dal proprio reddito, si è “rassegnato” a pagare personalmente di tasca propria per ottenere una prestazione sanitaria senza neanche provare a prenotarla attraverso il SSN. I dati parlano chiaro: considerando le visite specialistiche, su 100 tentativi di prenotazione nel Servizio Sanitario di visite ginecologiche sono 51,7 quelli che transitano nella sanità a pagamento, 45,7 le visite oculistiche, 38,2 quelle dermatologiche e 37,5 le visite ortopediche; tra gli accertamenti diagnostici, su 100 tentativi di prenotazione nel Servizio sanitario, transitano nel privato 30,1 ecografie, 27,4 elettrocardiogrammi, 26,3 risonanze magnetiche e 25,7 RX. Sono pagate di tasca propria nella quasi totalità dei casi, il 92%, delle cure odontoiatriche (che si caratterizzano anche per il costo medio più elevato, 575 euro). Nell’ambito dei beni sanitari di assoluta evidenza, i farmaci rappresentano la seconda voce di spesa pagata direttamente dai cittadini in termini di costo medio (380 euro) e la prima in termini di frequenza (38%), costi medi oltre i 220 euro per lenti e occhiali e di 185 per protesi e presidi, ma con frequenza decisamente più contenute (rispettivamente 18% e 9%). Più alto il presidio pubblico sugli esami diagnostici, che comunque vengono pagati privatamente nel 23% dei casi, e sulle prestazioni ospedaliere, dove comunque i cittadini sostengono direttamente i costi dell’acquisto in quasi il 10% dei casi. La necessità di ricorrere a prestiti e credito al consumo per finanziare le proprie cure passa dal 10,54% al 27, 14%”.
Infine per le visite specialistiche infatti, solo a titolo di esempio si hanno circa 128 giorni medi di attesa per una visita endocrinologica, 114 per una visita diabetologica, 65 per una visita oncologica, 58 per una visita neurologica, 57 per quella gastroenterologica, 56 per una visita oculistica, 54 per una visita pneumologica, 49 giorni per una visita di chirurgia vascolare e 49 giorni per una visita cardiologica. È evidente che a fronte di queste lungaggini molti cittadini (il 44% degli intervistati) si rivolgono direttamente al privato anche per le cure che rientrano nei Livelli Essenziali di Assistenza del Servizio Sanitario Nazionale. L’evidenza è nei numeri: tra il 2013 ed il 2018 a fronte di una crescita del + 9,9% della Spesa sanitaria privata la Spesa sanitaria “intermediata” dalla Sanità Integrativa è cresciuta del + 0,5%.