Disparità di genere, fra diverbi linguistici e gap da superare

Le parole di Sibilla Santoni, avvocata e presidente del comitato Insiemeperleprofessioni

In Italia manca un’educazione alle pari opportunità «dovuta anche al retaggio culturale che ci portiamo avanti da sempre, da secoli, che traspare anche nelle leggi, come per esempio nel caso della violenza sessuale, che per molto non è stata considerata un reato contro la persona ma contro la moralità pubblica, oppure la responsabilità genitoriale che nel parlare comune è ancora chiamata “patria potestà”, anche se è stata abolita nel 1975. E questo, è gravissimo». La questione è trattata da Sibilla Santoni, in seguito al convegno “Volere e (è) potere- Self empowerment 2021” promosso dal Comitato Pari Opportunità inter-ordinistico “Insiemeperleprofessioni” della provincia di Firenze.

Quali limiti vivono ancora le donne nel contesto della governance? Perché i ruoli di potere sono ancora spesso svolti dagli uomini?

«I limiti sono di due tipologie, oggettivi e soggettivi. Quando penso a limiti di tipo oggettivo penso a tutte le difficoltà che ancora oggi le donne trovano nell’avere un supporto, per esempio nella cura dei figli o nella cura degli anziani quando sono a lavorare. Questi, infatti, in base a un retaggio culturale, continuano a essere accuditi dalle donne. E poi ci sono i limiti soggettivi, che sono quelli per me forse particolarmente determinanti. Abbiamo infatti un retaggio culturale di secoli e secoli che vuole che la donna sia dedita a casa e famiglia e l’uomo invece a lavorare e a svolgere ruoli decisionali nell’ambito lavorativo, a tenere la governance. Il corso nasce quindi proprio con la volontà di dare un piccolo contributo per superare questi limiti, in particolar modo quelli di tipo culturale perché le donne possano capire che possono fare ciò che vogliono, ciò che desiderano. Perché a volte le donne non si sentono neppure legittimate a desiderare di fare qualcosa di diverso dall’occuparsi della famiglia. Si parla di sensi di colpa, che possono essere innati o che ci sono stati proiettati».

Come può essere cambiata questa situazione a suo avviso?

«Attraverso due tipi di interventi. Uno è oggettivo e riguarda il cambiamento della normativa, l’aumento dei servizi a tutela dei lavoratori e delle famiglie, quali il potenziamento degli asili nido, la nascita di nuove forme accudimento dei bambini -come accade in Francia- o degli anziani. L’idea è che possono svilupparsi sistemi di questo tipo per dipendenti e liberi professionisti che possono aiutare anche nella gestione del tempo. Un altro intervento riguarda invece il cambiamento culturale. Nelle scuole non vengono fatte lezioni specifiche per le pari opportunità, mentre servirebbe parlarne fino da piccolissimi, per iniziare a confrontarsi con una nuova società riguardo anche le responsabilità di ognuno»

La mancanza di un’educazione alle pari opportunità in Italia a cosa è legata? Cosa accade in altri Paesi invece?

«È un’assenza dovuta anche al retaggio culturale che ci portiamo avanti da sempre, da secoli. Il retaggio culturale è ovunque nella vita quotidiana. Ci sono Stati molto più avanti di noi sotto tutti gli aspetti inerenti la parità di genere, come la Norvegia, altri che lo sono solo per singoli aspetti, Stati decisamente più indietro. Il lavoro da fare è ancora tanto e ovunque».

Riguardo al suo libro di fiabe: da dove nasce questo progetto? perché è importante rivolgersi ai più giovani?

 «Il progetto nasce da tutti gli anni in cui mi sono occupata di pari opportunità e dalla consapevolezza che il problema culturale è un problema dirimente per avere le pari opportunità. La volontà è quella di seminare dove il terreno è più fertile e quindi con i più piccoli che sono spugne. Il futuro può cambiare se i bambini iniziano ad acquisire informazioni sulle pari opportunità fin da subito. Tutti dovrebbero avere la possibilità di sperimentare nella vita familiare la parità fra uomini e donne, disabili e abili, bianchi e neri e via discorrendo. Perché la disparità non è solo fra donne e uomini».

Sulla questione linguistica e lessicale dei titoli: quanto è importante riuscire a diffondere le corrette versioni? (assessora, sindaca…)

«Per me è fondamentale. Inizialmente non mi ponevo il problema. Poi no, anche dopo un’esperienza personale ho iniziato a farci caso e ad averne cura. Fintanto che il termine non è normale, non sarà normale che io faccia l’avvocata. Ci sarà sempre una parte di persone che reputerà strano che io faccia l’avvocata e non eserciti la professione un uomo mentre io rimango a cucina a casa. Fintanto che ministra suona strano, ci saranno meno ministre, meno sindache. Non è una tesi matematica, ma è così, perché sono termini che non ci piacciono, non siamo abituati a pensarli, a maneggiarli».

Da dove nasce il comitato interprofessionale? Di cosa si occupa? Chi riunisce?

«Nasce nel 2018, riunisce comitati pari opportunità, commissioni di parità, referenti di parità di numerosi ordini professionali fiorentini o regionali a seconda della categoria di professionisti. Nasce con l’intento di mettere insieme le varie competenze professionali appunto per garantire le pari opportunità in senso ampio. Un’esperienza bellissima perché c’è un confronto fra professioni diverse per arricchire le professioni stesse, fare progetti, garantire servizi differenti come bilanciamento per una migliore vita lavoro. Il comitato è animato da persone che credono nelle pari opportunità. Io ho la gioia di esserne la presidente».

La condizione delle donne libere professioniste è uguale a quella degli uomini liberi professionisti?

«No. Riguardo gli avvocati, categoria a cui appartengo, la situazione è che le avvocate guadagnano circa il 40% meno degli uomini a parità di età. Questo ci dà la misura del lavoro che va fatto per le pari opportunità. Nella vita della donna c’è un forte condizionamento culturale generale oltre a tanti altri elementi. È stato detto che “la maternità è dispari” e questo sintetizza bene tutte le situazioni oggettive collegate inevitabilmente alla madre nel periodo della maternità stessa. Lo ripeto: serve un cambio culturale e dei servizi, altrimenti diventa difficile arrivare alla parità».

Cosa si auspica guardando al futuro?

«Riuscire a favorire la conciliazione. Ovvero, da un punto di vista oggettivo, attivare nuovi servizi con l’obiettivo di risolvere le esigenze di lavoratrici e lavoratori. In particolare rispetto ai carichi di cura possono essere creati servizi di supporto alla cura di bambine e bambini o di genitori anziani, servizi salvatempo. In Francia, ad esempio, oltre a maggiori benefit economici per le famiglie con figli, ci sono ottimi servizi di cura. La Norvegia è il miglior paese al mondo rispetto alla parità di genere, seguito da Svizzera e Finlandia. L’Italia è tra gli ultimi stati in Europa per occupazione femminile».

Margherita Barzagli

 

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