Giornata dell’infermiere, l’intervista all’assessore Bezzini

«Grazie per esserci stati, per esserci, perché se il sistema sanitario tiene, lo deve al vostro lavoro»

In occasione della Giornata Internazionale dell’Infermiere che si celebra oggi in tutto il mondo, abbiamo voluto fare il punto su una figura che, anche alla luce della pandemia da Covid-19 ha assunto un ruolo sempre più centrale. Di infermieri, sanità territoriale, nodi da sciogliere per una sistema sanitario sempre più efficiente, abbiamo parlato con Simone Bezzini, assessore alla Sanità della Regione Toscana.

Assessore, come è cambiata la percezione del ruolo dell’infermiere con la pandemia?

«La figura dell’infermiere, adesso più che mai, ha acquisito il riconoscimento che merita, in quanto costantemente accanto al cittadino, anche nella sua funzione di advocacy esercitata in contesti di emergenza, oltre che ordinari. Per fare due esempi, basti pensare a quanto sia presente come interfaccia per la comunicazione coi familiari dei malati Covid in ospedale e in termini di monitoraggio, ma non solo, sul territorio. Ormai è chiaro a tutti il ruolo centrale che assolvono nel sistema di cura e sono i professionisti che rimangono a contatto più a lungo con i pazienti. La figura dell’infermiere è da sempre vista con due lenti diverse: quella della popolazione in salute, che non necessita di assistenza, che tende a sottovalutarne l’importanza rispetto ad altre figure sanitarie, e quella del cittadino malato o che necessita di assistenza infermieristica, che invece riconosce nell’infermiere il suo punto di riferimento all’interno del sistema sanitario.

L’emergenza pandemica ha fornito questo riconoscimento degli infermieri anche da parte della popolazione generale, che non necessita di assistenza. Inoltre, si tratta della professione più colpita durante l’emergenza in termini di contagi e oggi il nostro pensiero va anche a tutti coloro che, a causa del Covid, hanno pagato con la propria vita l’impegno per salvare quella degli altri. Nella Giornata internazionale dell’infermiere vorrei prendere in prestito le parole del direttore generale dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, Tedros Adhanom Ghebreyesus, secondo il quale gli infermieri “sono la spina dorsale di qualsiasi sistema sanitario e oggi, molti di loro si trovano in prima linea nella battaglia contro Covid-19″».

 

L’emergenza Covid ha più che mai evidenziato la necessità di personale. Crede che questa consapevolezza resterà in futuro?

«Sarebbe grave se così non fosse. La pandemia ha fatto esplodere le contraddizioni in ogni ambito. La necessità di personale è sempre stata evidente nei nostri sistemi ma questa volta, in un momento di particolare criticità, si è rilevata con ancora più forza. L’emergenza sanitaria ci insegna che non solo vi è un’insufficienza “quantitativa” del personale, ma anche che gli aspetti soft, legati alla flessibilità e alla trasversalità delle competenze, anche specialistiche, sono i punti chiave per fornire una risposta efficace da parte dei sistemi sanitari. Oltre al numero, quindi, occorre creare un sistema che riesca, ad esempio, a trasferire le risorse umane laddove occorre in tempi relativamente rapidi, grazie ad un’adeguata programmazione e ad un’attenta preparazione e formazione del personale. La consapevolezza delle necessità è figlia delle contingenze, ma la saggezza sta nell’utilizzare l’esperienza per essere proattivi nel futuro».

 

Anche alla luce dell’emergenza Covid pensa che cambierà il rapporto sanità/territorio? In particolare si riuscirà a valorizzare una sanità territoriale più vicina ai cittadini?

«La sanità territoriale è una delle priorità del mio mandato, un punto di partenza fondamentale per costruire insieme la sanità toscana del futuro. Sarà senz’altro uno dei temi al centro degli Stati Generali della salute, che partiranno con un ampio e capillare percorso di ascolto e partecipazione. Il tema del rapporto sanità-territorio è da sempre al centro dell’agenda regionale, ma anche qui l’emergenza Covid ci sta dando un grande messaggio: che l’azione sul territorio va potenziata, che la risposta non può essere fornita illimitatamente dall’ospedale e che serve lavorare sull’integrazione ospedale-territorio, insieme alla prevenzione e all’educazione alla salute.

Anche in sanità vale un principio di sussidiarietà: tutte le prestazioni che possono essere svolte con efficacia dagli operatori più prossimi agli utenti vanno attribuite a quel livello, a beneficio dell’intero sistema, anche in virtù della relazione fiduciaria paziente-professionista che è fondamentale nei processi di cura. Case della salute e rete dei servizi territoriali, telemedicina e nuove tecnologie, solo per fare alcuni esempi di come avvicinare sempre di più l’assistenza sanitaria al cittadino. Ma penso anche alle Usca, le abbiamo potenziate per numero e ruolo negli ultimi mesi e, se ora sono impegnate in prima linea contro il Covid, la loro funzione potrebbe essere fondamentale anche dopo la pandemia su altri fronti come, ad esempio, quello delle malattie croniche».

Sempre alla luce dell’esperienza della pandemia, ci sono secondo lei alcune scelte del passato che dovranno essere riviste?

«È sempre molto facile fare “dietrologia” con il senno di poi… fortunatamente non ci sono emergenze simili da gestire tutti i giorni. Quello che abbiamo visto nella nostra regione, sin dalla prima ondata, è stata una seria attivazione di tutte le professioni sanitarie a tutti i livelli per fornire le risposte più adeguate, dell’intero sistema sanitario regionale in ogni sua articolazione. La chiave di volta per una politica sanitaria di successo, soprattutto in termini di tenuta del sistema, dovrebbe esser quella legata alla cura non solo dei pazienti, ma anche di chi li assiste.

Gli infermieri, così come tutti coloro che sono in prima linea, hanno avuto ed hanno la necessità di esser messi in condizioni di gestione dello stress ottimali, di adeguato riposo e di manutenzione delle competenze tali da potersi spendere rapidamente in contesti diversi in caso di necessità emergenti. La nostra capacità deve essere quella di adeguare il sistema alle nuove sfide sulla base dell’esperienza, dell’evolversi dei bisogni e delle nuove tecnologie».

 

Per molti anni tanti giovani infermieri italiani sono “fuggiti” all’estero, come si può cambiare questo trend in futuro?

«Questo è purtroppo un trend che riguarda molti giovani italiani, in particolare nel settore della ricerca. I sistemi per diventare attrattivi necessitano di perfezionare la loro coerenza interna. Tra le priorità del medio periodo vi è quella di ristabilire le direttrici tra modelli di assistenza innovativi, reale implementazione nei contesti assistenziali e i sistemi formativi che devono creare i nuovi professionisti infermieri e svilupparne la loro maturità professionale, mediante l’acquisizione di competenze direttamente spendibili nell’operatività clinica ma anche organizzativa. L’opportunità di essere coinvolti con gratificazione nelle attività di ricerca ed innovazione dei contenuti disciplinari potrebbero essere elementi importanti per ritenere la fuga dei nostri “cervelli” professionali».

 

In questa giornata quale messaggio vorrebbe dare agli infermieri della Toscana?

«Una parola e un invito. Partiamo dall’invito: costruiamo insieme la sanità toscana del futuro prossimo venturo, valorizzando logiche di squadra e di integrazione multi-professionale. Ed ora la parola, una sola, di cuore: Grazie. Nella data per voi più importante, quella della nascita, qui a Firenze, della fondatrice dell’infermieristica moderna Florence Nightingale, vi voglio dire grazie per esserci stati, per esserci, perché se il sistema sanitario tiene, lo deve al vostro lavoro. E adesso, tutta la popolazione, nessuno escluso, lo sa».

 

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