L’infermiere in psichiatria ha una grande responsabilità, quella di erogare un’assistenza specifica alle persone con disagio psichico e ai pazienti in trattamento psichiatrico. Nel quadro della logica manicomiale non si poneva il problema delle funzioni del personale infermieristico, all’infermiere era imposto il compito di custode e garante della separazione sociale del paziente. Dopo la chiusura dei manicomi vengono liberati insieme ai pazienti anche gli infermieri e da una funzione di custodia, l’infermiere in psichiatria è transitato a una collaborazione e pianificazione dell’assistenza. Così negli ultimi decenni si è verificata una profonda trasformazione dell’assistenza psichiatrica che da ospedaliera e di custodia è diventata territoriale e orientata a “prendersi cura” in un’ottica di recovery delle persone con disturbo mentale, la persona con disturbo mentale non più confinata nei manicomi si propone ai servizi con i suoi bisogni di cura e assistenza, di riabilitazione e con i suoi diritti di inclusione sociale
Il mutamento istituzionale, tuttavia, fa sorgere alcune domande. Nella catena degli eventi suscitati dalla riforma psichiatrica come si colloca l’attività dell’infermiere di psichiatria? Quale può essere il suo contributo specifico dell’ambito del gruppo di lavoro? La discussione intorno alle funzioni infermieristiche si muove quindi entro uno scenario a prima vista favorevole quali il cambiamento del concetto di salute e malattia mentale, la negazione della istituzionalizzazione del paziente, il diritto alla prevenzione, cura, riabilitazione delle persone con disturbi mentali, il diritto per il paziente psichiatrico di mantenere una vita di relazione.
L’assistenza si basa su una visione olistica della persona, si percepisce ancora di più l’importanza che l’infermiere pone nel comportamento etico facendo attenzione alla dignità del paziente come persona, cercando di rispettarlo, curarlo e riabilitarlo facendo soprattutto da mediatore tra il paziente e il mondo che egli vive quotidianamente. Si passa da una scienza della cura ad una scienza della relazione dando valore anche all’operatore nello stile del proprio lavoro e dell’individualità all’interno del ruolo. Tuttavia, la pratica infermieristica psichiatrica incontra molti ostacoli a legittimarsi socialmente e istituzionalmente. «La riflessione sulla specificità e le caratteristiche del lavoro in psichiatria – spiega Margherita Musso, infermiera coordinatrice presso un CSM di Firenze Centro – mette in luce che si tratta soprattutto di un lavoro basato sulla relazione, l’approccio varia da persona a persona, l’infermiere che opera in salute mentale ha di fronte a se un caso complesso: nel malato mentale è alterato in modo significativo l’interiorizzazione del suo vissuto, la capacità di comunicare e di stare insieme agli altri in una realtà condivisa». Per questo la relazione terapeutica rappresenta per l’infermiere prima ancora di qualsiasi risorsa tecnica specifica, lo strumento indispensabile per potersi accostare a questa condizione di sofferenza. Il paziente è avvicinabile solo attraverso la relazione. La relazione deve essere intesa come la cornice necessaria in cui si inseriscono i vari piani di trattamento individualizzato che possono prevedere interventi assistenziali, farmacologici, psicoterapeutici e riabilitativi più o meno integrati fra loro. L’infermiere deve dunque essere qualcosa di più che un tecnico ed è il “fattore umano”, l’unico strumento in grado di avvicinarsi il più possibile al mondo del paziente. In psichiatria o meglio in salute mentale, la relazione interpersonale tra infermiere e paziente risulta il cuore della pratica assistenziale. Avendo tale importanza, la relazione di qualità tra infermiere e paziente psichiatrico non è un evento istintivo ma è l’insieme di più componenti, sono richieste buone capacità professionali, ed è necessaria una complessa interazione tra competenze e qualità personali.
Prendersi cura del paziente affetto da disagio psichico significa adottare un approccio globale che tenga in considerazione la persona come unica nella sua specificità. Il tipo di relazione ha lo scopo, quindi, di mutare stati soggettivi, comportamenti, condizioni di vita. Le operazioni richieste per tale scopo consistono nel capire e dare significato al disturbo, al sintomo, alla sofferenza, al grado di consapevolezza che la persona ha circa la propria sofferenza e i propri bisogni. Comprendere come professionista quanto questa sofferenza incide sulla vita della persona, leggere il contesto delle relazioni familiari, evidenziare i modelli culturali di riferimento, rilevando il grado di tolleranza del contesto lavorativo e sociale ove è inserito il paziente diventa indispensabile nella nostra pratica professionale quotidiana.
«L’infermiere – aggiunge Musso – in stretto raccordo con gli altri operatori del gruppo di lavoro assicura una assistenza infermieristica qualificata alle persone con problemi di salute». Le sue funzioni specifiche sono l’assistenza infermieristica diretta e indiretta. Partecipa all’azione educativa dei pazienti e delle loro famiglie, svolge attività di formazione rivolte agli studenti e partecipa alle attività di ricerca. Risponde dell’uso corretto delle risorse affidate e dell’efficacia assistenziale rispetto ai bisogni biologici e psicosociali delle persone assistite. Sono funzioni specifiche dell’infermiere l’osservazione dello stato psicofisico della persona, l’identificazione dei bisogni e dei problemi del paziente e della sua famiglia, la comunicazione, ascolto, sostegno, colloqui orientativi, l’insegnamento e l’educazione sanitaria, la preparazione dei pazienti e la collaborazione con il medico nella realizzazione di indagini diagnostiche e strumentali, l’attuazione dei trattamenti terapeutici e riabilitativi, la valutazione delle reazioni del paziente ai trattamenti medico – sanitari. Mentre l’assistenza indiretta comprende l’elaborazione del piano di assistenza infermieristica al paziente e alla famiglia, l’integrazione e collaborazione con le altre figure professionali per la realizzazione di una assistenza completa al paziente e alla famiglia, la richiesta ordinaria e urgente di interventi medici o di altro personale secondo i bisogni del paziente, la registrazione dei dati infermieristici, aggiornamento delle cartelle cliniche, e delle schede di rilevazione dati, il controllo e modificazione dell’ambiente a fini preventivi e terapeutici, la valutazione del processo di assistenza infermieristica.
L’infermiere utilizza a pieno la dimensione relazionale ed educativa della sua professione sia nei confronti di gruppi o singoli utenti, sia a sostegno delle famiglie, intervenendo quindi nel contesto sociale dove l’utente è inserito. Egli dovrà inizialmente accertare il livello di compromissione della capacità di soddisfazione del bisogno e individuare le risorse personali, familiari e sociali attivabili. Successivamente interverrà, in sinergia con gli altri professionisti sanitari e sociali, in un percorso a tappe allo scopo di far riacquistare progressivamente all’utente l’autonomia, ed indirizzarlo verso un graduale reinserimento sociale. Proprio per queste motivazioni spesso l’infermiere si trova ad operare soprattutto in ambito sociale, risanamenti abitativi, igiene della casa e personale, accompagnamenti per invalidità. Nel territorio, l’infermiere attraverso le visite domiciliari, riunioni ed incontri, assicura un costante contatto con gli utenti aiutandoli a conservare la capacità di soddisfare autonomamente i propri bisogni, a mantenere un adeguato rapporto con la realtà e ad individuare precocemente i segnali di ricaduta.
L’organizzazione dei servizi fiorentini della salute mentale si è sviluppata cercando di rispettare alcuni principi fondamentali come l’accoglimento di ogni tipo di domanda relativa a problematiche psichiatriche, la presa in carico dei pazienti sia sul piano più strettamente clinico-terapeutico che psicologico e sociale, la continuità terapeutica affidata ad un gruppo multidisciplinare, l’unitarietà del percorso assistenziale. Per questi motivi possiamo affermare che l’infermiere in psichiatria sia una sorta di progenitore dell’infermiere di famiglia.
Il lavoro quotidiano richiede agli infermieri la capacità di gestire esperienze sempre nuove e imprevedibili, rispondiamo anche alle urgenze psichiatriche (tso e tsv). Vi è un crescente manifestarsi di nuovi profili di gravità, che si aggiungono alle categorie consolidate, ma al tempo stesso ne ampliano i confini: anziani fragili, pazienti autori di reato inseriti nel circuito penale (carcere, REMS), adolescenti devianti, pazienti con disturbi da abuso e con “doppia diagnosi”, pazienti con gravi disturbi dell’umore e comportamenti autolesivi, persone malate di mente senza fissa dimora nelle aree urbane, marginalità e soprattutto da tenere presente il fenomeno dell’ immigrazione, che porta con sé persone di origine , religione e lingua diversa , con capacità, abitudini di vita , affette da disagio sociale e conseguentemente un aumento dei disturbi dell’adattamento
«Il gruppo di lavoro in cui lavoro spesso si trova a collaborare con le altre discipline e specialistiche dell’azienda, come co-attori nella cura del paziente. – spiega ancora Musso – Per facilitare e mediare il passaggio, momento estremamente delicato, tra la neuropsichiatria infantile e la psichiatria per l’età adulta abbiamo inserito un infermiere del gruppo a proiezione che svolge attività infermieristiche per tre giorni alla settimana nell’ambulatorio degli adolescenti con la presa in carico di coloro che stanno per essere transitati al compimento del diciottesimo anno. Si tratta dell’unico servizio ad avere un infermiere dedicato a questa esperienza – conclude Musso – perché abbiamo creduto nell’importanza di avere un infermiere che potesse facilitare e mediare il passaggio tra i due servizi, favorendo così la presa in carico e la continuità terapeutica. Se la malattia mentale offre aspetti pluricontestuali, l’infermiere nei servizi di salute mentale, dovrà essere dotato di una specializzazione multicontestuale proprio per mantenere quella visione intera e globale del malato mentale».