Medicina di genere, un Piano nazionale per le Regioni. «Per la Toscana sarà una bella sfida»

«E’ una bella sfida, soprattutto per la Toscana dove non partiamo da zero. Ma proprio per questo l’impegno dovrà essere rivolto a fare sempre meglio». A dirlo Mojgan Azadegan, attuale responsabile Centro Regione Toscana Salute e Medicina di Genere, in merito al Piano nazionale sulla medicina di genere approvato il 30 maggio scorso dalla Conferenza Stato – Regioni.

«La Toscana ha fatto un po’ da apripista in questo campo essendo stata la prima Regione ad inserire il concetto di “medicina di genere” nel piano sanitario già nel 2014» spiega Azadegan. Ma cosa si intende per “medicina di genere”? Le differenze di genere influiscono su prevenzione, diagnosi e cura delle malattie. Pur essendo soggetti alle medesime patologie, uomini e donne presentano sintomi, progressione di malattia e risposta trattamenti molto diversi tra loro. La medicina di genere pone un approccio diverso e innovativo alle disuguaglianze di salute, studiando le persone uomini e donne, non solo biologicamente, ma in maniera più complessa e globale analizzando anche il contesto socio-culturale in cui vivono.

Il Piano nazionale è nato dall’impegno congiunto del Ministero della Salute e del Centro di riferimento per la Medicina di Genere dell’Istituto Superiore di Sanità. Dal Ministero della Salute è giunta una lettera agli assessori alla salute di ogni Regione per creare gruppi di esperti in materia – sottolinea la responsabile Centro Regione Toscana Salute e Medicina di Genere – in Toscana esiste già, ed è l’unica regione in Italia, ad avere un centro di coordinamento che ha portato alla realizzazione di un modello a rete che coinvolge le varie aziende sanitarie per l’applicazione della medicina di genere». Da qui la stesura di un piano biennale dell’attività 2019-2020 «in cui punteremo su aspetti pratici come l’intervento nei PDTA (percorsi diagnostici, terapeutici e assistenziali) che devono prevedere la questione di genere» sottolinea Azadegan. Così, grazie alla medicina di genere, per esempio sarà affrontata una patologia come l’osteoporosi non solo nelle donne ma anche da un punto di vista maschile. Viceversa, l’infarto (in cui le differenze di genere  sono ben noti), sarà studiato  in maniera diversificato. «La medicina di genere – spiega Azadegan – ci permette una diagnosi più corretta e una terapia personalizzata in base al paziente e alle sue reali necessità. Intervenire nel momento giusto permette notevoli risparmi economici a tutto il sistema che diventa più sostenibile».

Rispetto alla Toscana, il Piano nazionale recentemente approvato prevede, tra l’altro, l’insegnamento della medicina di genere nei corsi di laurea: «Un’azione a cui deve affiancarsi anche una corretta informazione alla popolazione – dichiara la responsabile Centro Regione Toscana Medicina di Genere – per questo in Toscana sarà attivato collaborazioni con le altre professioni come  l’Ordine dei giornalisti: perché se è vero che medici e infermieri parlano lo stesso linguaggio che non è quello dei pazienti, i giornalisti sanno trovare la chiave giusta per parlare ai cittadini».

Sul Piano nazionale sulla medicina di genere interviene anche Annamaria Celesti, ex responsabile commissione regionale Toscana medicina di genere: «Un Piano importante in cui in tutti i percorsi diagnostici, terapeutici assistenziali e di prevenzione non si considera solo il genere inteso come uomo/donna – spiega Celesti – ma tenendo conto anche del vissuto di ciascuna persona. Ora diventa fondamentale anche la formazione non solo degli operatori sanitari e socio sanitari ma anche di tutti coloro che si dedicheranno alle professioni sanitarie». Una novità importante anche se «aver fatto questo Piano e aver codificato per iscritto i concetti non basta – sottolinea Celesti –  Tutto potrebbe vanificarsi se non si passa dalla teoria alla pratica e quindi il mio auspicio è che si trovi presto un’applicazione in tutti i percorsi dei servizi sanitari regionali e la completa disponibilità delle facoltà universitarie ad affrontare i corsi di laurea in termini anche di genere».

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