«Ecco come convivo con la Sarcoidosi polmonare»

La storia di Barbara Coltelluccio e di come una malattia rara possa aver cambiato la sua vita

«Non è facile superare a livello psicologico una malattia. Se poi è rara, e sconosciuta ai più, si è anche più disorientati. Si impara col tempo a conviverci e a calibrare le energie da spendere durante la giornata». Non è solo bella Barbara Coltelluccio ma anche molto coraggiosa. Da qualche anno convive con una malattia rara, la sarcoidosi polmonare, che le ha cambiato il ritmo delle giornate e le sue abitudini.

Quanti anni ha?

«37».

Quando ha scoperto di essere malata e come le è stata comunicata la diagnosi?

«L’ho scoperto nel 2022. Ci è voluto del tempo e tantissimi accertamenti prima di conoscere il nome della mia malattia. Mi è stato detto dai medici che mi devo ritenere fortunata perché non si tratta di un cancro aggressivo. Ma questa “fortuna” significa comunque avere dolori, aumentare molto di peso, assumere farmaci, in alcuni casi in dosi anche abbastanza massicce, e non poter fare tutto quello che vorrei esattamente come lo facevo prima».  

Quali sintomi l’hanno allertata?

«Mi sentivo stranamente sempre stanca, avevo spesso dolori a gambe e ginocchia tanto da camminare lentamente, quando facevo le scale avevo il fiatone e davo la colpa al fumo o agli strascichi del Covid, che avevo preso. Il sintomo più persistente è stata la tosse secca, che è peggiorata anche smettendo di fumare. Finché un giorno, mentre guidavo, ho avvertito una forte fitta al torace, mi sono fatta visitare dal medico che l’aveva attribuita all’ansia. Non contenta sono andata al pronto soccorso, dove mi hanno fatto una serie di esami e l’ecografia al cuore denotò la presenza di una massa. Sono stati giorni tremendi. Si pensava fosse un tumore dopo l’angiotac».

Dopo quanto le è stata data una diagnosi certa?

«Dopo tre mesi. Interminabili. Mi è stato spiegato che la sarcoidosi polmonare la chiamano ‘malattia del mimo’ perché può mimare tutte le malattie e depistare la diagnosi corretta».

Confida in medici e infermieri?

«Sì. Gli infermieri che ho incontrato in questi anni sono sempre stati molto attenti e scrupolosi, mi hanno spronato a dire sempre tutti i sintomi che avvertivo. Penso sia fondamentale la bravura del personale sanitario perché ogni malato raro è un caso a sé. Ad esempio, ho conosciuto sia una ragazza che non ha mai avuto sintomi che un’altra sottoposta a un trapianto di polmone. Ho trovato una guida nell’ACSI – Amici Contro la Sarcoidosi amici contro la sarcoidosi, che mi ha fatto sentire meno sola. Tra malati rari di sarcoidosi polmonare ci conosciamo quasi tutti. Ho trovato anche degli amici, come il presidente dell’associazione, Filippo Martone».

Cosa si può fare per far sentire meno soli i malati rari oggi?

«Penso che a tutti i malati rari debba essere affidata quotidianamente una guida psicologica che non ci lasci mai soli, perché il crollo (fisico ed emotivo) può avvenire in qualsiasi momento».

Come affronta le sue giornate?

«Evito di affaticarmi inutilmente. Ho tre figli e spesso rinuncio a fare anche solo una passeggiata con loro. L’anno scorso la vivevo male perché volevo essere efficiente come sono sempre stata, per me e la mia famiglia. Ora invece ho imparato ad ascoltarmi e ascoltare il mio corpo. Questa mattina, per esempio, avevo in programma di risistemare casa ma mi sono resa conto che non ho abbastanza forze, quindi ci penserò domani».

È ottimista?

«Sì, lo sono sempre stata. Penso che la malattia potrebbe anche rallentare o “addormentarsi” e allora là ne approfitterò e mi godrò di più la vita. Non vedo l’ora!».

Come sta oggi?

«Oggi sono seguita da Le Scotte di Siena. La mia sarcoidosi polmonare è diventata multisistemica. Questa è una malattia che può evolvere e mutare, nel mio caso si è cronicizzata, coinvolgendo polmoni, la cute, i linfonodi, e gli occhi che a oggi sono infiammati».

E dal punto di vista emotivo?

«Sono diventata più paziente e selettiva con le persone. Oggi mi sento meno fragile e molto più forte. Quando mi dicono che sono in sovrappeso mi faccio una risata. Nonostante questo, penso che sia necessario uno psicologo che mi aiuti ad accettare il tutto perché da soli mi rendo conto che non è facile metabolizzare tanto carico emotivo. L’anno scorso è come se avessi vissuto un lutto di me stessa, sia per l’aspetto estetico cambiato che per quello emotivo. Oggi sono una persona nuova. Ho imparato a mettermi al primo posto e a non sentirmi in colpa se a causa della mia salute possono anche cambiare i programmi dell’intera famiglia. Questo nuovo approccio alla vita è una “vittoria” che devo anche al supporto di mio marito e dei miei figli. La mia forza quotidiana».

Alessandra Ricco

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