Violenza sulle donne e infermieri: lo studio di due ricercatrici fiorentine

A cura di El Aoufy Khadija e Maria Ramona Melis ricercatrici della Facoltà di Scienze Infermieristiche dell’Università degli Studi di Firenze

La violenza di genere, contro le donne, è uno dei problemi maggiori per quanto riguarda la salute pubblica e i diritti umani violati in tutto il mondo. Spesso l’ambito familiare e/o relazionale intimo è il contesto in cui si sviluppa il maggior numero dei casi. L’OMS definisce tale fenomeno come “un comportamento di un partner intimo che causa danni fisici, sessuali o psicologici, compresi atti di aggressione fisica, coercizione sessuale, abuso psicologico e comportamenti di controllo”.

In Italia si stima che violenze fisiche o sessuali durante la propria vita siano subite dal 31,5% delle donne. L’OMS evidenzia che una donna su tre a livello globale subisce violenza da parte di un partner; le donne di età compresa fra i 15 e i 44 anni sono a maggior rischio di abuso. Inoltre emerge che, mentre i tassi di violenza per mano di partner intimi differiscono nelle regioni a basso, medio e alto reddito, gli effetti sulla salute sono simili in tutto il mondo. I bambini che assistono alla violenza sperimentano disturbi emotivi e dello sviluppo.

La ricerca scientifica ha dimostrato negli ultimi anni come il primo contatto con le strutture sanitarie, e quindi coi professionisti sanitari, rivesta un ruolo prioritario nel determinare la decisione della donna di uscire da una situazione di disagio ed ottenere giustizia. Pertanto gli operatori sanitari, in particolare gli infermieri, svolgono un ruolo cruciale nel riconoscere i segni delle violenze subite quando si prendono cura delle vittime.

Dalla fine degli anni ’90 molte associazioni di professionisti della salute hanno pubblicato Linee Guida per intraprendere azioni di screeningin grado di identificare atti di violenza contro le donne in conformità con le politiche sanitarie nazionali. In alcuni paesi, lo screeningè sostenuto senza risorse sufficienti e gli Infermieri spesso mancano di competenze e conoscenze per rispondere in modo appropriato. Per questo motivo le Linee Guida dell’OMS sconsigliano lo screeningnei contesti sanitari a reddito medio-basso. Secondo una Revisione Sistematica della Letteratura e Metanalisi condotta nel 2014 da Doherty L. J. et al, non ci sono prove sufficienti per lo screeninguniversale nelle strutture sanitarie; oltremodo, vi è un’urgente necessità di condurre studi che siano in grado di valutare chiaramente il potenziale di tali screeningunitamente a una formazione professionale sostenibile e a una valutazione efficace per indagare i benefici a lungo termine per donne e bambini.

Gli infermieri sono la categoria professionale che ha maggior contatto con la donna vittime di violenza: è fondamentale che essi abbiano la formazione e gli strumenti necessari per poter in campo tutte le tecniche di comunicazione non verbale e modalità di ascolto, prestando attenzione alle parole non dette, perché difficili da pronunciare, con lo scopo di intercettare le situazioni di violenza.

Negli ultimi due anni, la situazione di emergenza pandemica da Covid19 ha incrementato questo trend di abusi e le famiglie sono diventate focolai di violenza inaudita, fisica e psicologica, con accessi al Pronto Soccorso da parte di donne che subiscono soprusi ancora più frequenti. Tuttavia, nonostante la serietà del problema e l’importanza del ruolo rivestito dall’infermiere, Di Giacomo et al. (2017) riportano le difficoltà, tutt’oggi presenti, nell’accoglienza e nelle procedure relazionali, oltre ad un atteggiamento che ‘colpevolizza’ la donna. Quindi risulta fondamentale e prioritario implementare il potenziale degli infermieri nel riconoscere e accertare situazioni di violenza subite da donne con cui vengono a contatto durante la loro esperienza lavorativa.

Una recente revisione della letteratura scientifica condotta da Duarte et al. (2015), ha sottolineato il ruolo degli operatori sanitari, che sono stati identificati come la chiave per riconoscere i casi di violenza, poiché le donne che la subiscono tendono a ricercarne l’assistenza a causa delle conseguenze fisiche e psicologiche. Tuttavia, questa revisione ha portato alla luce anche la scarsa preparazione di molti operatori sanitari: essi dovrebbero in primis essere formati a lavorare sulle questioni di genere e sulla costruzione dell’autonomia, ed in ultima analisi collaborare anche nella prevenzione di nuovi casi di violenza e nella diffusione dei risultati della loro pratica quotidiana.

L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha individuato la necessità di garantire che gli operatori sanitari siano adeguatamente formati per assistere le donne vittime di abusi. Le Linee Guida del 2013 raccomandano modalità formative che comprendano la pianificazione della sicurezza (con rinvio ad organismi specializzati di tutela della vittima) e che migliorino la comunicazione e gli atteggiamenti nei confronti delle vittime di violenza. È inoltre importante che gli Infermieri forniscano alle donne tutte le informazioni, anche legali, sul tipo di aiuto che possono ricevere se decidono di denunciare; molte di esse, proprio dopo aver avuto queste indicazioni, si convincono a raccontare cosa è davvero accaduto. Il ruolo dell’infermiere, che accoglie il paziente senza mai giudicarlo, è essenziale per convincere a denunciare.

Secondo i risultati emersi dalla Scoping Reviewdi Crombie N. et aldel 2017, le barriere degli operatori sanitari nell’accoglienza e nell’identificazione delle donne abusate includono la mancanza di conoscenza sia del fenomeno e del proprio ruolo all’interno di esso, sia dei servizi di riferimento, oltre al tempo limitato per un approccio delicato al paziente e le esperienze personali.

La metodologia di scopingè stata utilizzata per esplorare l’estensione di letteratura sulle strategie educative per infermieri e ostetriche che si prendono cura delle donne abusate. Da questo lavoro emerge che la formazione universitaria risulta pressoché assente, mentre la formazione continua per i professionisti Infermieri si avvale di una varietà di metodi educativi, inclusi lezioni in presenza e multimediali, role playinge discussioni di gruppo. Crombie N. et alconcludono che diversi studi hanno riportato un cambiamento positivo nell’interazione del personale con le donne abusate, osservando che dopo la formazione il personale riconosce la violenza di genere contro le donne come un problema sanitario significativo e che il loro intervento in tale ambito è una parte integrante della propria professione.

El Aoufy Khadija, Maria Ramona Melis

 

Bibliografia

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  • Crombie, N., Hooker, L. and Reisenhofer, S. (2017), Nurse and midwifery education and intimate partner violence: a scoping review.J Clin Nurs, 26: 2100-2125.
  • Duarte MC, da Fonseca RM, de Souza V, Pena ÉD. Gender and violence against women in nursing literature: a review. Rev Bras Enferm. 2015 Mar-Apr;68(2):297-303, 325-32. English, Portuguese. doi: 10.1590/0034-7167.2015680220i. PMID: 26222178.
  • Roark SV (2010) Intimate partner violence: screening and intervention in the health care setting.Journal of Continuing Education in Nursing, 41, 490– 495; quiz 496-497.
  • World Health Organization (2013) Responding to Intimate Partner Violence and Sexual Violence against Women.WHO Clinical and Policy Guidelines. Available at: http://apps.- who.int/iris/bitstream/10665/85240/1/ 9789241548595_eng.pdf.
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