Carenza di infermieri e sanità territoriale: il punto con Nicola Armentano

Il consigliere e capogruppo del PD al Comune di Firenze si è fatto promotore di una risoluzione che punta a risolvere e programmare il fabbisogno di personale infermieristico

Una visione multidisciplinare della sanità, più partecipazione delle professioni sanitarie nei processi decisionali, una sanità ‘circolare’ che unisca in maniera virtuosa ospedale e territorio. Sono alcuni dei temi che Nicola Armentano, consigliere e capogruppo del PD al Comune di Firenze sta portando avanti. Proprio nei giorni scorsi, si è fatto promotore di una risoluzione per risolvere e programmare il fabbisogno di personale infermieristico. Una questione su cui l’Ordine delle Professioni Infermieristiche Interprovinciale di Firenze e Pistoia si concentra da tempo.

Dottor Armentano, lei si è fatto promotore di una risoluzione che punta a colmare la carenza di infermieri. Come siamo arrivati a questo punto?

«C’è bisogno di servizi d’infermieristica, e ce ne sarà sempre più, perché la nostra popolazione è sempre più longeva, grazie anche ai progressi fatti in tema di ricerca scientifica e terapie. La pianificazione della sanità pubblica del nostro Paese, i fondi messi a disposizione negli ultimi venti anni, non hanno tenuto conto di un Paese che invecchiava: l’allungamento dell’età media allunga anche i costi di assistenza. In pratica, il miglioramento dell’assistenza indirettamente ha allungato vita ma non a questo non è corrisposto un aumento delle persone che si fanno carico. dell’assistenza».

Perché c’è bisogno di più infermieri?

«Proprio per questo. Perché le richieste di salute sono sempre più numerose. Dato che riusciamo a gestire in maniera più efficace le patologie è necessario garantire anche la qualità della vita. E questo lo possiamo fare solo se le patologie, in particolare quelle croniche, e la terza età vengono supportati da figure sanitarie competenti che lavorino in sinergia con i medici, nel rigoroso rispetto dei ruoli ed in riferimento puntuale al profilo professionale. I medici hanno bisogno di supporto sempre più forte delle altre componenti, in primis dagli infermieri che hanno un rapporto di continuità con il malato. Se aumentiamo sul territorio la presenza di figure sanitarie – visto che la prossimità ha dimostrato in fase d’emergenza di avere tempi più risolutivi nel processo di presa in carico – questo richiederà una maggiore presenza di servizi infermieristici sul territorio, come l’infermiere di famiglia e di comunità».

Quali sono secondo lei le iniziative da portare avanti per risolvere il problema?

«È necessario migliorare i modelli organizzativi ma agire anche su processi decisionali. Non possiamo decidere come muoverci senza aver ascoltato gli infermieri. C’è bisogno di una sempre maggiore multidisciplinarietà non solo nella gestione ma anche nella programmazione delle scelte. Da questo nasce la mia volontà di tenere insieme i mondi, farli dialogare. Credo che sia necessario capire le criticità attraverso la voce di chi le vive direttamente, per esperienza diretta, valorizzando il contributo del sapere infermieristico. Sarebbe opportuno pensare di istituire, a livello comunale, una consulta delle professioni sanitarie e a breve penso di avviare il percorso. Sarebbe un altro forte segnale per mantenere più forte questo tipo di connubio fra le componenti».

In tema di infermieristica di comunità, cosa è possibile migliorare e come?

«È necessario stabilire una pianificazione dei bisogni: è più facile che un infermiere di famiglia o di comunità possa trovare maggior efficacia nei confronti della popolazione anziana. Quindi è necessario prevedere servizi anche in base alla demografia dei territori: è ovvio che un quartiere in cui l’80% della popolazione è anziana dovrà avere risorse superiori rispetto a uno popolato in maggioranza da giovani. Tenendo sempre presente l’obbiettivo di dare servizi quanto più prossimi possibile ai cittadini. Sarebbe quindi opportuno pensare di prevedere un numero massimo di pazienti da affidare a un infermiere di famiglia/comunità, in modo da garantire la presa in carico corretta dei pazienti. In caso contrario si rischierebbe o di sovraccaricare l’infermiere, non mettendolo in grado di svolgere il suo lavoro, o che il cittadino non venisse raggiunto in tempi congrui dall’assistenza. Credo che questo servizio rappresenti una bellissima opportunità ma deve essere necessariamente regolamentato».

Perché la sanità territoriale sarà sempre più importante?

«Oggi la sanità sui territori può rappresentare davvero un volano per ridurre gli impatti sugli ospedali. Dobbiamo assimilare il concetto che l’ospedale non può essere sempre la risposta ai bisogni dei cittadini, se non di fronte all’emergenza/urgenza. Dovremmo seguire uno ‘schema’ di sanità circolare: territorio – ospedale – territorio. Il bisogno deve essere prima gestito e vagliato dal territorio e poi, se necessario, affidato all’ospedale. Per questo il territorio stesso dev’essere ricco di servizi e figure per l’assistenza sanitaria, in cui gli infermieri sono asset fondamentali. Non dimentichiamoci poi, l’importanza d’investire nella sanità pubblica che credo vada rinforzata in tutte le sue componenti».

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