Rachele Matini: «Il Covid? Emozioni contrastanti ma ha vinto la voglia di aiutare»

La testimonianza della giovane infermiera letta in occasione del Premio Firenze 2020

«Una volta entrati ci siamo resi conto di quanto ci fosse bisogno del nostro aiuto e quanto fossimo necessari in quel momento, e tutte le difficoltà sono poi passate in secondo piano». Ha raccontato così il suo primo giorno faccia a faccia con il Covid Rachele Matini, giovane infermiera 26enne che lo scorso 2 giugno è stata premiata in occasione del Premio Firenze 2020. Un riconoscimento che il Comune, in occasione della Festa della Repubblica, ha voluto conferire simbolicamente a quasi 200 persone che hanno vissuto in prima linea l’emergenza Covid.

Dal concorso nel 2019 all’assunzione nel 2020 in piena pandemia

«Mi chiamo Rachele e sono un’infermiera – ha esordito Rachele -. Ho vinto il concorso pubblico Estar indetto nel 2019 e sono stata poi assunta ad aprile 2020 con chiamata straordinaria a seguito della pandemia da Covid-19. Dal momento della mia assunzione sono stata da subito impegnata insieme ad altri colleghi in questa emergenza, in particolare nella gestione di focolai Covid diffusi in tre Rsa della zona in cui vivo. Attualmente e durante i periodi in cui non ero in RSA Covid invece lavoro al servizio territoriale del distretto dove capita anche di assistere persone affette da Covid direttamente al proprio domicilio con la collaborazione e l’aiuto delle Usca».

«Sono stati mesi molto impegnativi ed intensi sia a livello fisico che emotivo»

«Fin dall’ inizio sono stati mesi molto impegnativi ed intensi sia a livello fisico che emotivo – ha raccontato -. Per la difficoltà di lavorare costantemente con dispositivi di protezione individuale, i cosiddetti DPI, a cui non eravamo abituati, come tute, visiere, mascherine, per la paura di rimanere contagiati e contagiare i propri familiari a casa, mentre fai il tuo lavoro. Per la difficoltà di trovarsi davanti ad un virus nuovo, che veniva studiato nel momento in cui ci trovavamo a gestirlo e di cui inizialmente sapevamo ben poco. Per la difficoltà di entrare in strutture che non conosci, con colleghi nuovi e dover ogni volta riadattare l’organizzazione presente fino a quel momento alle nuove esigenze e alle nuove priorità che l’emergenza ha portato con sé. Ed emotivamente la difficoltà di sentirsi sconfitti e impotenti, a volte, nonostante il massimo impegno che abbiamo sempre messo nel nostro lavoro».

«Ho subito pensato che non sarei mai riuscita a resistere per un turno intero»

«Dall’altro lato sicuramente sono state anche esperienze costruttive che mi hanno fortificato. Mi ricordo il momento in cui sono arrivata alla prima Rsa Covid dove ho lavorato – ha detto la giovane infermiera -. Ero spaventata perché non sapevo cosa aspettarmi dal primo incontro con il Covid. Nel momento in cui ci siamo vestiti con tutti i dispositivi di protezione, prima di entrare nella così detta zona sporca, ho subito pensato che non sarei mai riuscita a resistere per un turno intero perché avevo l’impressione di non riuscire a respirare, ma poi una volta entrati ci siamo resi conto di quanto ci fosse bisogno del nostro aiuto e quanto fossimo necessari in quel momento, e tutte le difficoltà sono poi passate in secondo piano».

«Sono stati mesi lunghi e difficili in cui credo, e spero, sia venuta fuori tutta l’importanza del ruolo dell’infermiere»

«Da quel giorno è passato più di un anno e mi rendo conto di quanto questa esperienza mi abbia cambiato personalmente e formato professionalmente come infermiera – ha concluso Rachele -. Sono stati mesi lunghi e difficili in cui credo, e spero, sia venuta fuori tutta l’importanza del ruolo dell’infermiere. Sono felice di aver incontrato tante persone in gamba, abbiamo lottato tutti insieme contro questo nemico che ci ha colto di sorpresa affrontandolo uniti e determinati».

 

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