Case della salute e servizi di prossimità: la sanità del futuro vista da Enrico Sostegni

L’intervista al presidente della commissione sanità del Consiglio regionale della Toscana

«Gli errori del passato? Non aver implementato la prevenzione e i servizi sul territorio. I prossimi obbiettivi? Potenziare i servizi del territorio, le cure intermedie e le case della salute». A fare il punto sulla sanità toscana è il presidente della commissione sanità del Consiglio regionale della Toscana, Enrico Sostegni (Pd).

Nelle scorse settimane lei ha partecipato alle cerimonie dei giuramenti dei nuovi infermieri. Che impressione ha avuto?

«Sono eventi importanti, anche perché indicano che molti nuovi professionisti stanno arrivando nel sistema sanitario regionale e questo è un segnale positivo. Si diventa infermieri dopo una formazione importante ed è quindi significativo che ci sia una cerimonia conclusiva, alla quale deve seguire un ruolo sempre più centrale nel sistema regionale sanitario. Parlando con questi giovani, donne e uomini, ho trovato poi un bellissimo entusiasmo».

È un momento molto particolare per gli infermieri che sono passati da ricevere pubbliche celebrazioni a dover affrontare i tagli del personale nei reparti. Cosa ne pensa?

«Partendo dalle celebrazioni sono sicuramente giuste, non solo per tutti i professionisti che hanno affrontato l’emergenza Covid, ma anche a prescindere dalla pandemia, per il ruolo che il personale sanitario svolge nelle nostre comunità. Relativamente ai tagli del personale occorre precisare un aspetto: guardando bene i dati che ci fornisce l’assessorato, dal 2009 al 2021 i professionisti sanitari in servizio nel sistema sanitario regionale sono aumentati di 5mila unità. Ovviamente è anche vero che ci sono funzioni nuove, che in passato mancavano, a partire dai servizi legati al Covid. E questo rende più faticoso il funzionamento del sistema sanitario. Ma il problema non è la riduzione dei professionisti, quanto l’aumento delle funzioni e dei servizi. Per affrontare questa situazione occorrono più fondi ed è un tema che la giunta sta affrontando. Non possiamo pensare di fronteggiare la sfida del PNRR senza avere le risorse per assumere nuovo personale. Il livello di finanziamento del sistema sanitario nazionale è attorno al 6% del PIL, ma deve diventare almeno al 7%».

Quali azioni avete portato avanti e quali porterete avanti come Regione Toscana e, in modo particolare, nella terza commissione da lei presieduta?

«Abbiamo iniziato una serie di audizioni e incontri, in particolare dalla fine dell’ultima ondata pandemica. Li abbiamo chiamati “Stati generali per la salute”, una serie di confronti ai quali hanno preso parte tutte le organizzazioni del settore, gli ordini, i sindacati e, in conclusione, tre ex presidenti di regione. Abbiamo ascoltato in tutto oltre 200 persone. La nostra idea è fare una sintesi delle proposte che ci sono arrivate e portarle in consiglio regionale, in modo che possano costituire la prima traccia della programmazione dei prossimi anni. In questo percorso il ruolo dell’infermiere è importante e strategico ovunque: dall’ambito ospedaliero all’emergenza urgenza, fino all’organizzazione».

Visto che la convivenza con la pandemia sarà probabilmente lunga, secondo lei quali azioni saranno necessarie nei prossimi mesi?

«Nei prossimi mesi occorrerà rafforzare e concludere la vaccinazione. Abbiamo inoltre necessità di organizzarci perché l’epidemia non incida sull’attività ordinaria degli ospedali e del sistema sanitario. Direi anzi che questo è l’obiettivo principale che dobbiamo darci».

Pensa che alla luce di questo nuovo quadro alcune scelte degli anni e dei decenni passati in ambito sanitario debbano essere riviste? Se sì, quali?

«Anche alla luce delle audizioni, credo che il punto sul quale concentrarsi siano i servizi del territorio, le cure intermedie (gli ospedali di comunità come li chiama il Pnrr) e le case della salute. Abbiamo dei modelli importanti e delineati, ma andando a vedere come sono stati messi in pratica, notiamo che la situazione è troppo a macchia di leopardo. Sul territorio occorre cambiare passo soprattutto nella cronicità e nella prevenzione. Abbiamo bisogno che chi può non ammalarsi, non si ammali. Il tema della prevenzione deve essere al primo posto, sia per il rispetto della salute dei cittadini che per la sostenibilità del sistema. Quindi, tornando alla domanda, direi che è stato sbagliato non aver implementato abbastanza la prevenzione e i servizi sul territorio».

Si parla molto di infermieri di famiglia e di sanità di prossimità, ma molto resta da fare per far davvero funzionare questi servizi. Secondo lei quali potrebbero essere i prossimi step? 

«Penso che saranno legati all’implementazione delle case della salute e dei servizi alla comunità. L’infermiere di famiglia funziona e ha senso dove c’è una casa della salute vera, un luogo dove si trovano anche un medico di medicina generale e un sistema di sostegno sociale (a questo proposito abbiamo fatto un atto anche per l’assistenza psicologica). La dimensione dell’uomo è fisica, psicologica, sociale e ogni paziente deve trovare piena presa in carico in questo senso».

C’è ancora chi resta scettico nei confronti dei vaccini, purtroppo anche fra gli infermieri. Cosa potrebbe essere fatto secondo lei per convincere chi ancora ha dubbi?

«Da chi lavora nel sistema sanitario, da chi ha una formazione scientifica, mi aspetterei motivazioni scientifiche valide per non sottoporsi alla vaccinazione. E invece non le vedo. Solo se ci fossero motivazioni del genere si potrebbe dare dignità vera a questa opposizione. Chiederei a chi sceglie di fare un lavoro che ha come elemento base la conoscenza scientifica, di non farsi trascinare da dicerie e discorsi senza fondamento scientifico. Questo anti illuminismo da parte di chi svolge alcuni lavori è inconcepibile. Su cosa si può fare per convincere gli scettici, direi che le misure dell’obbligatorietà sono necessarie. Inoltre, dato che forse talvolta l’opposizione nasconde delle fobie da superare, potrebbe essere utile un percorso di aiuto. Va anche detto chiaramente che il messaggio di un infermiere o di un medico non vaccinato è troppo più forte rispetto a quello di un normale cittadino: chi osserva un sanitario pensa che abbia fatto la sua scelta sulla base di chissà quale evidenza scientifiche. L’infermiere e il sanitario devono sentire la responsabilità del lavoro che fanno e di ciò che rappresentano: un punto di riferimento per tutta la collettività».

Margherita Barzagli

 

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