Covid: “ci si ammala di più nelle aree ad agricoltura intensiva”

Lo studio della Banca Centrale Europea in collaborazione con l’Unifi

La maggiore incidenza del Covid 19 nelle aree ad agricoltura intensiva evidenzia una relazione tra la diffusione del virus e i modelli di sviluppo economico. È quanto sostenuto dallo studio scientifico Covid-19 and rural landscape: the case of Italy. A condurlo, Mauro Agnoletti, docente dell’Università degli Studi di Firenze e presidente del programma della FAO per la tutela del patrimonio agricolo mondiale, Simone Manganelli, Capo Divisione della Ricerca Finanziaria alla Banca Centrale Europea (BCE), e Francesco Piras, ricercatore dell’Università degli Studi di Firenze. Lo studio è stato pubblicato sulla rivista internazionale Landscape and Urban Planning e sulla Working Paper Series della BCE.

Si rileva la presenza di una forte relazione tra modelli di sviluppo e diffusione del Covid-19

“L’andamento dell’epidemia del Covid-19 presenta una forte relazione col modello di sviluppo territoriale – si spiega nello studio -. La correlazione è statisticamente significativa anche tenendo conto delle diverse caratteristiche demografiche, economiche ed ambientali. Il virus non corre lungo i confini regionali, ma segue i modelli di sviluppo economico”. La ricerca, condotta dalla Scuola di Agraria dell’ateneo fiorentino, rileva il contagio in Italia analizzando le caratteristiche ambientali, industriali e rurali. Dallo studio emerge la presenza di una forte relazione tra modelli di sviluppo e diffusione del Covid-19. Il virus sembra più diffuso nei territori dove si registrano elevati input energetici dovuti alle attività industriali e agroindustriali.

“Nelle aree a bassa intensità ci si ammala quasi tre volte di meno”

Nel dettaglio l’Italia può essere divisa in due macroaree in base al modello di sviluppo: bassa e alta intensità. Le aree a bassa intensità, sono quelle meno industrializzate e dove resistono sistemi di agricoltura più tradizionale. Qui lo studio rileva che ci si ammala quasi tre volte di meno: i dati parlano di 108 casi ogni 100 km quadrati. Nelle aree più industrializzate e ad agricoltura intensiva, la media è di 286 casi. Entrambi i valori si discostano dalla media nazionale, di 145 casi ogni 100km quadrati. In particolare le aree più colpite risultano essere la Pianura Padana (289 casi contro i 145 nazionali), il fronte adriatico dell’Emilia Romagna. E ancora la valle dell’Arno tra Firenze e Pisa, le zone intorno a Roma e Napoli.

Il caso della Pianura Padana

Nelle province della Pianura Padana (36 province tra Torino e Alessandria) interessate dalle aree agricole (29% del territorio nazionale) si registra il 70% dei casi Covid-19 in Italia. Qui, oltre alle aree urbane e industriali si concentra anche il 61% delle aree ad agricoltura intensiva del territorio nazionale. Così nella Pianura Padana si registrano 372 casi ogni 100 km quadrati mentre nelle meno intensive i casi scendono a sono 223. Lo studio si basa sui dati resi noti dalla Protezione Civile nel mese di ottobre 2020, a conferma di uno studio già effettuato nella scorsa primavera. Le aree ad alta intensità sono anche quelle più soggette a inquinamento causato da nitrato, metano ed emissioni di ossido nitroso, che incide sulla qualità ambientale.

Agnoletti: “Usiamo il Recovery Fund per il recupero delle aree rurali interne”

«È prassi normale in molti studi epidemiologici e nelle azioni di contrasto alla diffusione dei virus – spiega Mauro Agnoletti – tenere conto degli aspetti socio-economici e ambientali, utilizzando un approccio di pianificazione territoriale. Dallo studio emerge che il virus si diffonde secondo le caratteristiche territoriali. E non è la densità demografica il fattore più determinante. È il momento di pensare a progetti mirati a rivitalizzare le aree rurali, in particolare quelle oggetto di abbandono e recessione. Non solo tramite nuove politiche agricole ma anche attraverso il Recovery Fund. Ciò contribuirebbe sia una diminuzione del rischio, riducendo la densificazione in limitate aree del Paese, sia lo sviluppo di un diverso modello economico per le zone meno industrializzate».

 

 

 

 

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