Covid: «L’insegnamento è più attenzione nel prevenire complicanze respiratorie»

L’intervista ad Alessio Fabbrizzi, dirigente medico specialista in malattie dell’apparato respiratorio dell’ospedale Palagi di Firenze

Quattro anni fa l’inizio della pandemia. Oggi il Covid non fa più paura come allora, ma ha lasciato molti strascichi. E questo non solo nelle vite di chi ha vissuto complicanze dovute a questa malattia, ma anche nel personale sanitario. Per fortuna non solo “ferite” ma anche insegnamenti e buone pratiche da non scordare. Oggi, 18 marzo, in occasione della Giornata nazionale in memoria delle vittime del Covid, abbiamo intervistato Alessio Fabbrizzi, dal 2020 dirigente medico specialista in malattie dell’apparato respiratorio dell’ospedale Palagi di Firenze.

Quali ricordi ha dei primi momenti della pandemia?

«In quel periodo ero agli ultimi mesi di specializzazione e stavo concludendo un tirocinio nell’ambulatorio broncoscopico a Careggi, tra le procedure più rischiose che potevano capitarmi in quella fase. Ricordo che si iniziò a parlare di paziente zero e di Codogno.Nell’arco di pochi giorni tutto è cambiato».

Alessio Fabbrizzi, dirigente medico specialista in malattie dell'apparato respiratorio dell’ospedale Palagi di Firenze
Alessio Fabbrizzi, dirigente medico specialista in malattie dell’apparato respiratorio dell’ospedale Palagi di Firenze
Quando si è preoccupato per la prima volta?

«Io e una anestesista fummo i primi in ospedale a entrare in contatto con una signora in insufficienza respiratoria, potenzialmente infetta, proveniente da Codogno dove era stata da un parente. In quel periodo vivevo coi miei genitori. Ci dovemmo isolare fino a esito del tampone».

E delle settimane successive cosa ricorda?

«Ricordo la superstrada deserta e il rientro faticoso a casa: mi spogliavo in garage e lasciavo lì i vestiti usati a lavoro. Sembrava di vivere in una bolla di tempo, che tutto fosse sospeso. E poi ricordo la discussione al pc, via web, della mia specializzazione in pneumologia».

Qual era la sua paura più grande?

«Contagiare la mia famiglia».

Cos’è cambiato oggi?

«Abbiamo preso consapevolezza della malattia rispetto al 2020 e di come fare a trattarla per prevenire conseguenze negative. Soprattutto per chi ha malattie respiratorie o altre patologie, come quelle cardiovascolari o metaboliche. Il Covid del 2024 non è più quello del 2020, anche in termini di aggressività. Le possibilità di sconfiggerlo e di prevenire le complicanze a lungo termine sono maggiori».

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Oggi quando è il caso di rivolgersi a uno pneumologo o all’ospedale?

«Se c’è desaturazione, sintomi come dispnea, tosse persistente o alterazioni radiologiche. E ancora, se ci sono delle patologie di base, come per esempio asma e bronchite cronica respiratoria. Queste patologie sono ben gestibili, ma se ben controllate con una terapia di base. Inoltre, è opportuno farsi controllare in caso di comorbilità cardiovascolari. Detto questo, va ricordato che il Covid può colpire chiunque, generalmente in forma paucisintomatica e ben gestibile a casa».

Quale esperienza le ha lasciato di più il segno?

«Sono ricordi su due fronti. Alcune persone che temevo di non rivedere in visita poi sono tornate, mentre altre che non mostravano sintomi preoccupanti non ce l’hanno fatta. In particolare, ricordo il caso di un giovane, con insufficienza respiratoria e una Tac terribile, che non lasciava spazio alla speranza, guarito dopo pochi mesi senza cicatrici polmonari».

Com’è cambiato dal 2020 a oggi il suo reparto?

«In meglio. Il Covid ha snellito le procedure e portato a maggiore prevenzione. Abbiamo iniziato a fare televisite, alcune le facciamo ancora, per velocizzare i tempi, soprattutto in caso di controlli che non necessitano di esami approfonditi. Dopo la pandemia, inoltre, c’è stato un aumento relativo agli accertamenti diagnostici e alle diagnosi di noduli polmonari o di asma latente. Patologie che è fondamentale diagnosticarle per tempo».

Cosa dobbiamo imparare da questa esperienza?

«Il Covid ci dovrebbe lasciare l’eredità di una maggiore attenzione nel prevenire le malattie respiratorie, soprattutto nei periodi in cui c’è l’influenza e in ambienti in cui c’è tanta promiscuità. E poi l’accortezza, se si hanno sintomi, di usare la mascherina per proteggere non solo se stessi, ma anche gli altri, soprattutto le persone fragili e anziane».

Alessandra Ricco

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