Prossimità, continuità e costruzione del patto di fiducia con i cittadini. Sono i pilastri su cui si fonda la figura dell’infermiere di comunità, molto sviluppata in Friuli dove è nata ormai venti anni fa grazie all’impegno e alla caparbietà di Mara Pellizzari, oggi responsabile del servizio infermieristico dell’Azienda sanitaria Bassa Friulana-Isontina.
«A differenza dell’infermiere di famiglia – spiega Pellizzari – l’infermiere di comunità non lavora solo all’interno del nucleo familiare ma estende la sua visione oltre la famiglia per poter realizzare la presa in carico a 360 gradi di un paziente cronico». L’esperienza dell’infermiere di comunità è nata nel 1999 nell’allora Azienda 5 Bassa Friulana «come risposta all’evoluzione dei bisogni dei cittadini – spiega Pellizzari – In questo territorio, infatti, abbiamo una percentuale molto elevata di over 65 (circa il 20-24% con punte anche del 38%) e ci siamo resi conto che il modello infermieristico classico domiciliare non dava più risposte esaustive e così abbiamo cominciato una ricerca che si è concretizzata in un lavoro di assistenza decentrata». Oggi in questa zona esiste un “nodo” ogni 2000-2500 abitanti. L’infermiere di comunità svolge la sua attività tra un ambulatorio («dove riceve i pazienti che non hanno difficoltà a spostarsi e uscire di casa», sottolinea Pellizzari) e poi, per la maggior parte del tempo, a domicilio «oltre a svolgere un fitto lavoro con le altre realtà della comunità come ad esempio le associazioni e la parrocchia». Fondamentale, infatti, è che l’infermiere di comunità sia una persona di quel luogo, che conosca e viva quotidianamente la realtà dove opera. «Quando stiamo per aprire un ambulatorio – sottolinea Pellizzari – chiediamo che questo sia vicino all’assistente sociale, perché il ruolo dell’infermiere di comunità, oltre a fornire una prestazione, è soprattutto quello di conoscere le potenzialità e i bisogni della comunità».
In Italia, oggi, non ci sono esperienze simili a quella del Friuli: «Spesso vengo chiamata nelle altre regioni per illustrare il progetto – sottolinea Pellizzari – ma quello che passa è solo l’aspetto prestazionale in ambulatorio. Ed è sbagliato perché il nostro modello non è solo questo. L’obiettivo dell’infermiere di comunità deve essere vedere le persone soddisfatte perché si sentono prese in carico. E secondo questo modello siamo riusciti anche a ridare appropriatezza alla figura del medico di famiglia perché se c’è l’infermiere di comunità che fa da filtro, il medico può tornare a svolgere maggiormente la sua funzione di clinico». E il tutto con notevoli costi per il sistema sanitario nazionale: «Grazie all’infermiere di comunità – conclude Pellizzari – si riesce a gestire il paziente prima che arrivi al Pronto Soccorso».