L’infermiere nelle carceri tra gestione della sicurezza e diritto alla salute

Gestione della sicurezza e diritto alla salute sancito dall’articolo 27 della Costituzione. Sono questi i due estremi tra cui l’infermiere si trova ad operare nelle realtà carcerarie. Da un parte il lavoro delle istituzioni per il reinserimento del detenuto nella società, dall’altro il diritto alla salute secondo i livelli di assistenza riconosciuti ai cittadini liberi e il diritto all’assistenza, alla prevenzione, alla riabilitazione attraverso prestazioni adeguate ed efficaci. La storia degli infermieri penitenziari è piuttosto recente. D’altra parte l’operare in spazi ristretti e in rapidità per il poco tempo a disposizione da trascorrere con il detenuto impongono una continua messa in discussione delle modalità operative da parte degli infermieri nelle carceri. Così come altri due fattori, spesso, rischiano di condizionare le attività: da una parte il problema della sicurezza, dall’altro quello del sovraffollamento dei complessi penitenziari. Ecco quindi che sii mpone la necessità di individuare il giusto equilibrio tra i regolamenti penitenziari e processi assistenziali adeguati e di comprovata efficacia. L’infermiere è la figura che entra più frequentemente nelle sezioni e incontra i detenuti nelle loro celle per la somministrazione delle terapie. La malattia viene strumentalizzata e la capacità di lettura obiettiva della situazione di salute è ostacolata dalle simulazioni volte a ricercare un espediente per una riduzione della pena. Le malattie più rappresentate in cui vengono sollecitati interventi preventivi urgenti dettati da esigenze di sanità pubblica sono: tubercolosi, HIV, epatiti, sifilide e altre malattie sessualmente trasmesse.

La maggior prevalenza di disturbi psichiatrici in cui il 10-15% della popolazione detenuta soffre di una malattia mentale grave, risulta da molti studi, sebbene non sia chiaro se la detenzione causi il disordine mentale o peggiori una situazione patologica preesistente. Gli ambienti chiusi e angusti dei “bracci” di reclusione creano una difficoltà logistica che spesso compromette la possibilità di cura, e definiscono un disagio adattativo condiviso anche dagli infermieri, che lamentano infatti maggiori difficoltà in carcere rispetto ad altri contesti di lavoro.

Gli infermieri, spesso, vengono percepiti come degli estranei dentro un’organizzazione rigida che ha proprie regole e dinamiche, funzionanti perché da tutti riconosciute e accettate.

E proprio il rapporto tra infermiere e carcere è stato il tema trattato durante un incontro organizzato da Opi Firenze Pistoia, che si è tenuto nei mesi scorsi al Forum Risk presso la Fortezza da Basso di Firenze. A parlare di “Empatia confinata: la realtà dell’infermiere penitenziario” sono stati Luis Lujan infermiere nel reparto giudiziario del carcere di Sollicciano, Maria Stella Barbati, infermiera nel reparto accoglienza del carcere di Sollicciano, e Caterina Torcini coordinatrice infermieristica nelle carceri di Sollicciano, Mario Gozzini e Meucci.

«Non esiste una formazione specifica che insegni agli infermieri come operare in un contesto particolare come quello del carcere – ha spiegato Louis Lujan -. Ho trent’anni e sono infermiere in un carcere da cinque anni. Sono diverse le problematiche ci ritroviamo ad affrontare: dalle lunghe distanze date dai corridoi che separano l’infermeria da alcune zone del carcere dove potrebbero trovarsi i pazienti da soccorrere, agli interventi infermieristici che vanno sempre coordinati con la polizia penitenziaria per ragioni di sicurezza. Ci sono poi delle misure di sicurezza che vanno rispettate: per esempio il detenuto non deve sapere la nostra identità, per loro noi siamo semplicemente “infermiere” e “infermiera”. Questo per evitare che si entri in confidenza o si possa avere nei loro riguardi un eccessivo coinvolgimento emotivo. Per quanto riguarda le visite, da qualche anno possono avvenire con la vigilanza a vista dall’esterno della stanza dove si trovano medico e paziente (tranne in casi di particolare pericolo o agitazione)».

Maria Stella Barbati lavora come infermiera dal 2012 a Sollicciano. «In un carcere l’infermiere – ha raccontato – ha a che fare con pazienti detenuti di varie etnie e culture, con diversi tipi di quadri clinici. Spesso ci si ritrova a prendersi cura della persona che ha attuato gesti di autolesionismo (soprattutto per protesta). Questo perché la voglia di libertà supera quella di stare bene in salute. I detenuti tendono a volte a simulare un malessere per uscire dal carcere. Il carcere di Sollicciano è dotato di un cardiolink, un elettrocardiografo portatile in grado di registrare un ECG. L’elettrocardiogramma registrato viene trasmesso tramite accoppiamento acustico con un normale telefono ad una centrale operativa ove operano medici specializzati in cardiologia che in tempi rapidissimi refertano il tracciato stesso, inviandoci il tutto tramite email. Tutto questo procedimento serve a limitare le uscite dei detenuti dal carcere. Inoltre, in carcere l’infermiere lavora attraverso protocolli e istruzioni operative Aziendali (ASL centro), per esempio per diabetici o per le malattie infettive. In più – conclude l’infermiera – dato che non possiamo conoscere tutte le lingue parlate dai detenuti, ci viene in soccorso il servizio di mediazione culturale telefonico attivo h24, che ci permette di avere in tempo reale una traduzione.

«Quella del carcere è una realtà che non si può immaginare finché non ci si lavora – ha detto Caterina Torcini -. Il 2008 ha segnato un momento importante per gli infermieri che operano in questo ambiente ma anche per i detenuti stessi: è infatti avvenuto il passaggio della gestione per la parte sanitaria nelle carceri dal Ministero della Giustizia al Ministero della Salute. Questo vuole dire che, se in passato nelle carceri c’erano agenti infermieri che vedevano principalmente il paziente come detenuto, oggi i pazienti in carcere sono effettivamente tali, seguiti nei loro problemi di salute da personale esclusivamente sanitario multiprofessionale».

 

Open chat
Hai bisogno di informazioni?
Scan the code
Powered by weopera.it
Ciao
Come posso aiutarti?

Se non hai WhatsApp Web sul tuo PC, puoi scansionare il codice dal tuo Smartphone per metterti in contatto con noi.