Piero Morino: «L’infermiere è la figura chiave nelle cure palliative»

Intervista all’ex direttore per il coordinamento cure palliative dell’Usl Toscana centro

«Il primo hospice in Toscana è nato a Firenze all’Ex Convento delle Oblate, in piazza di Careggi. Era il 2008». Il dottor Piero Morino, anestesista rianimatore, oggi in pensione, fino al 2020 direttore per il coordinamento cure palliative dell’Usl Toscana Centro, spiega le prime esperienze con e per queste strutture specialistiche di ricovero in Regione.

Com’è cambiato l’approccio con gli hospice in questi anni?

«Prima erano tutti pubblici. Fino al 2020 gli hospice si trovavano a Torregalli, all’ex convento delle Oblate, a San Felice a Ema poi, a Prato, Empoli e Pistoia. Oggi quello di Torregalli è stato chiuso e sono stati attivati dei posti letto in formula hospice con strutture convenzionate».

Ci sono competenze specifiche che il personale dell’hospice deve avere?

«Va specificato che oggi le cure palliative sono riconosciute con una propria disciplina dal Ministero della Salute. Esistono dei corsi formativi sulle cure palliative che non sono obbligatori, ma che fanno parte di una formazione individuale che si può scegliere di completare per operare al meglio».

Qual è il ruolo dell’infermiere negli hospice e in generale nell’ambito delle cure palliative?

«L’infermiere in questo caso è il cardine, la figura chiave del lavoro fatto in equipe per le cure palliative».

Dove si possono somministrare le cure palliative?

«A casa, in ospedale o in hospice».

Quando si ricorre a queste cure?

«Vanno attivate per tempo, non quando non c’è più niente da fare ma quando c’è una malattia cronica ingravescente che va verso una fase avanzata. In questo caso si può scegliere di ridurre le cure attive per quelle palliative, fino a farle diventare, gradualmente, l’unica cura. Purtroppo manca un dialogo chiaro e non sempre i pazienti sono ben informati o ben comprendono quello che sta loro accedendo e ciò complica la situazione. Le persone sono disposte a sopportare anche effetti collaterali molto gravi per inseguire la speranza di guarire».

In hospice i medici sono sempre presenti?

«Sono presenti 12 ore di giorno e reperibili per la notte. Ci sono sempre comunque gli infermieri».

Come si fa per accedere alle cure palliative?

«Le cure palliative vanno attivate dal medico di famiglia o anche dall’ospedale, se il paziente sceglie di non tornare a casa. Altrimenti possono essere attivate cure palliative domiciliari».

In cosa consistono?

«Sono terapie di sostegno, cure che si fanno in equipe, composte da figure come lo psicologo, gli Oss, i fisioterapisti e soprattutto gli infermieri, che si occupano per esempio di assistenza di base, medicazioni e accudimento. C’è anche il supporto delle associazioni territoriali, con il valido aiuto di professionisti e volontari formati nel campo».

Quando poi, di fatto, le persone in media entrano in hospice?

«Il 50% delle persone che entrano in hospice muore entro la prima settimana di ricovero. Questo è un indice che fa capire quanto si ricorra troppo tardi a queste cure. Secondo l’indicatore internazionale il ricovero in hospice dovrebbe durare invece da uno a tre mesi. Questa sarebbe la tempistica corretta, ma per realizzarla occorrere evitare a monte che il paziente si aggrappi all’illusione di poter vivere ancora per molto. E occorre che capisca chiaramente, piuttosto, come si possa vivere l’ultimo periodo della propria vita senza necessariamente dover soffrire».

Alessandra Ricco

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