«La lingua dei segni andrebbe insegnata a scuola come quella straniera»

L’intervista alla socia fondatrice dell’associazione in occasione della Giornata mondiale del Sordo

Non poter sentire porta con sé dei limiti nella quotidianità. Limiti a cui si può cercare di ovviare e che si possono tentare di superare in tanti modi. A spiegarceli in occasione della “Giornata mondiale del Sordo” è Alessandra Biagianti, socia fondatrice dell’associazione “Comunico”, con sede a Livorno e raggio d’azione su tutto il territorio regionale.

Quando e come nasce la vostra associazione?

«Nel 2013, dall’idea di un gruppo di soci fondatori e con l’obbiettivo di andare incontro alle necessità di tutte quelle persone sorde che si impegnano per vivere la loro quotidianità con le varie difficoltà annesse. Lo scopo dell’associazione, che conta circa 200 soci sostenitori, è promuovere e valorizzare la dignità, l’autonomia e l’emancipazione della persona con disabilità sensoriale e/o con disturbi della comunicazione e/o disturbi specifici dell’apprendimento, in tutti gli aspetti della vita, dalla formazione e l’integrazione scolastica a quella professionale e sociale, fino ai momenti che includono cultura, sport, tempo libero e attività ricreative».

Quale tipo di formazione occorre avere per aiutare chi vive nella sordità?

«Serve un corso completo (preferibilmente universitario) per diventare interprete LIS, Lingua dei Segni Italiana che comprende proprie regole grammaticali, sintattiche, morfologiche e lessicali. Per quanto riguarda le scuole il discorso cambia: in questi casi esiste la figura dell’assistente alla comunicazione, per cui serve una formazione idonea e specifica, che affianca l’insegnante di sostegno dello studente sordo».

Cosa c’è da sapere prima di relazionarsi con chi non sente?

«Bisogna ricordarsi che questa è una disabilità invisibile e subdola. Non si vede se non quando si entra in comunicazione con chi la ha. Ed è ancora più invisibile quando la persona sorda è in grado di parlare bene. I sordi si dividono in due gruppi: oralisti, che non usano la lingua dei segni ma solo il labiale; i segnanti, che utilizzano anche la lingua dei segni per esprimersi, e quindi sono bilingui».

Come si può parlare con i sordi?

«Intanto, occorre stare attenti a scandire bene le parole, evitando di urlare (tanto non serve a niente), stando attenti a essere nella giusta posizione rispetto al sole per evitare abbagli (e quindi l’impossibilità di leggere il labiale) e a non avere cibo in bocca nel momento in cui si parla. Non per ultimo, occorre tempo e pazienza. E poi, si può sempre ricorrere a foglio e penna per farsi capire alla perfezione».

Quali attività svolgete?

«Puntiamo a creare progetti di integrazione e inclusione. Abbiamo convenzioni con l’Università di Pisa e Firenze, dove affianchiamo i sordi negli studi. Siamo convenzionati con alcuni Comuni, organizziamo anche iniziative nel settore turistico-culturale e nello sport. Negli ospedali, come Careggi, siamo presenti con servizi di volontariato di primo livello. Nel territorio di Livorno, in particolare, ma anche in altre province della Toscana, siamo presenti nelle scuole con i nostri collaboratori assistenti alla comunicazione in affiancamento ai bambini con disabilità uditiva, dall’infanzia fino alla secondaria di secondo grado, e svolgiamo, a nostro avviso, una funzione fondamentale durante il loro percorso evolutivo e di apprendimento. Molte altre delle nostre attività sono evidenziate sul nostro sito, www.associazionecomunico.it».

Quanto ancora c’è da fare in Toscana in questo senso?

«Molto. Bisogna lavorare molto per far crescere una cultura della disabilità. In America, per fare un esempio fra tutti, la lingua dei segni viene insegnata a scuola come altra lingua straniera».

Un caso fra tutti quelli che avete seguito?

«Quello di un ragazzo sordo che è stato affiancato negli anni universitari dalla nostra associazione (in convenzione con l’Università di Pisa), Mattia, supportato in tutte le lezioni, accompagnato durante i vari colloqui, esami, per assicurarsi che capisse e non ci fossero equivoci nella comunicazione con i docenti. Fino al giorno della sua seduta di laurea, quando è riuscito a laurearsi in Medicina con 110 e lode. Una bella soddisfazione per lui e una grossa emozione anche per tutti noi».

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