«È facile combattere qualcosa che vedi, è più difficile combattere qualcosa che non vedi»

L’andamento dei casi di violenza durante la pandemia nelle parole di Lisa Reali, responsabile codice rosa ospedale San Jacopo di Pistoia

I casi arrivati in ospedale nei periodi di riapertura post ondate pandemiche, sono più violenti rispetto a quelli che arrivavano prima. La dottoressa Lisa Reali, responsabile del codice rosa all’ospedale San Jacopo di Pistoia dal 2019, spiega i casi di maltrattamento che arrivano in pronto soccorso, fra parallelismi temporali, violenze su minori, e perché no, anche storie a lieto fine.

Durante la pandemia sono aumentati o diminuiti i casi di violenza sulle donne arrivati in pronto soccorso?

«Abbiamo assistito a diversi fenomeni. Nella prima fase nessun accesso, sia per i codici rosa che in generale. Poi, con il venir meno del lockdown, c’è stata una riacutizzazione del numero, con delle vere ondate. Gli accessi hanno seguito un po’ l’andamento del lockdown e delle riaperture. Alle riaperture si è verificato sempre un aumento degli accessi rispetto ai periodi paralleli degli anni precedenti. Per tre mesi nessuno, nei tre mesi successivi il triplo del solito. Non solo, abbiamo registrato in tanti violenza maggiori, con più intensità. Violenze più cruente e più spesso in ambito sessuale. Se in altre situazioni era uno schiaffo, ora erano diventati cazzotti, cinghiate, per esempio. Condividere gli stessi ambienti ha fatto sì che le violenze fossero quotidiane, sia psicologiche che fisiche».

Che tipi di casi arrivano?

«Più frequentemente strattonamenti, schiaffi, mani strette intorno al collo. Arrivano anche violenze psicologiche (denigrazione, squalifica della persona) e poi violenza assistita, davanti ai bambini. I minori hanno assistito più frequentemente anche e soprattutto per lockdown».

C’è correlazione a suo avviso fra l’aumento dei casi di violenza e il lockdown?

«Sono correlati per la necessità di condividere spazi vitali per tempi più lunghi. Anche il distacco, che poteva funzionare come deterrente per la violenza sull’altra persona, venendo meno ha favorito la conflittualità fra le convivenze soprattutto se forzate e con difficoltà connesse al Covid. Per esempio, la gestione di bambini o di malati in casa ha aumentato l’instabilità nelle persone e ha favorito la violenza, fra frustrazioni economiche e maggiore irritabilità».

Negli anni le denunce sono state di più o di meno?

«Si denuncia un po’ di più, a mio avviso, anche se il tasso è sempre molto alto. Il 10% delle donne aggredite, denuncia. C’è maggiore consapevolezza, la sensazione che si possa essere aiutati anche grazie a pronto soccorso. Le denunce sono aumentate perché da quando c’è il codice rosa molti casi sono procedibili d’ufficio».

Com’è la situazione delle violenze sui minori?

«Molto spesso è la pediatria a occuparsene. La sensazione è che la violenza assistita, che è considerata violenza su minore, sia aumentata. Mi segnalavano l’anno scorso soprattutto in lockdown un forte disagio psicologico dei minorenni. Non so se questo può aver scatenato un aumento di violenza come stalking e simili sui social. Il pronto soccorso fortunatamente al di là della violenza assistita non ha troppi tipi di violenza ma non posso sbilanciarmi».

C’è qualche storia che le è rimasta particolarmente impressa e che può raccontare? Che possa essere d’esempio sulle dinamiche di queste violenze?

«Ci sono rimasti impressi i bambini, per fortuna non frequenti, arrivati con segni di violenza sessuale. Ricordo il caso di una ragazzina stuprata dal nonno che poi si è suicidato davanti a lei dicendole “guarda per colpa tua cosa faccio”. Un appello da fare ai genitori è di riconoscere le avvisaglie. Questa ragazza sarà segnata per sempre, non solo per le cicatrici dello stupro ma anche senso di colpa che le è stato infierito. Mi sono rimaste impresse poi le persone che non hanno voluto fare il percorso di codice rosa, anche donne di un certo livello sociale. Ricordo un’avvocatessa che venne solo per fare il colloquio, dicendomi che era umiliata e sfruttata economicamente dal compagno da anni e che proprio per il suo ruolo di avvocato voleva parlarne e basta senza fare niente: Lo l’ho inviata a fare un percorso psicologico ma purtroppo credo che non abbia mai proceduto, che mai si sia liberata, pur avendo sacrificato molto della sua vita per questo uomo che non l’ha mai ripagata in niente».

Ci sono molti casi così?

«Sì. E mi colpiscono di più chi dice che non vuole andare avanti: noi segnaliamo ma poi dichiarano al magistrato che si sono inventate tutto e questo è ciò che rimane più impresso. Molti anche i casi che vanno bene, come quello di una albanese che ha tradito il marito per  cui si configurava una vendetta familiare. Lei venne da noi, la mettemmo in protezione. E ora sappiamo che si è lasciata, vive la sua vita, è protetta e lavora, e soprattutto non ha avuto conseguenze. È un esempio positivo, ma ci sono molte altre storie a lieto fine. Questa mi è rimasta impressa per la paura che lei aveva, non voleva fare denuncia ma voleva tornare a casa chiedendo che venisse una pattuglia perché sarebbe avvenuta una riunione di famiglia e sarebbe stato deciso il suo destino, che poteva andare dall’aggredirla al riportarla in Albania segregata. Invece questa donna è libera, felice e tranquilla. Ci sono molte storie a lieto fine».

Come si può continuare a combattere queste difficoltà e atti?

«Con il percorso che pone nel codice rosa anche le violenze sospette e non dichiarate. Almeno il 50% delle volte in cui sospettiamo una violenza effettivamente esiste. Anche quelle solo sospette, facendole entrare nel percorso, emergono ed è  un modo di combattere. Perché è facile combattere cosa che vedi, più difficile combattere cosa che non vedi. Abbiamo campanelli di allarme già al triage per intercettare questi maltrattamenti. E poi sono importanti l’educazione, gli incontri nelle scuole, agire nelle fasce d’età più basse. Cercare e continuare a instaurare una cultura del rispetto e non violenza che è la chiave per poterla sconfiggere».

Margherita Barzagli

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